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Intervista a Uran Sainbileg
Dobbiamo imparare a scrivere! Nell’estate 2020 Uran Sainbileg ha conquistato gli Open Doors Lab, aggiudicandosi il Rotterdam Lab Award che nel 2021 la porterà proprio nei Paesi Bassi per un workshop di formazione insieme a una delegazione di produttori della scena internazionale. Lei, produttrice appassionata, con un occhio al cinema commerciale e l’altro al cinema d’autore, punta diritto al cuore di quello che per lei oggi è il grande gap da colmare per il cinema mongolo: «Abbiamo bisogno di freschezza, di scrittura, di sceneggiatori - attacca diretta Uran - Da noi mancano completamente e ora che a livello istituzionale si sta muovendo qualcosa per la cultura e per sostenere attivamente i cineasti locali, dobbiamo essere in grado di portare qui, dal’estero, alcuni professionisti che possano insegnarci il valore della sceneggiatura. Abbiamo bisogno di freschezza in generale, di una ventata di esperienza che faccia crescere i nostri autori e i nostri professionisti locali».
Qualcosa si sta muovendo, proprio in questa direzione.«Dopo che per decenni il governo ha sostenuto il cinema, l’ha promosso, l’ha fatto crescere costruendo un’importante storia cinematografica lunga 80 anni, negli anni ’90 tutto si è spento in un attimo e al cinema non si è più pensato, interrompendo completamente il flusso di finanziamenti. Oggi il cinema indipendente sta cercando di tornare a quel sistema di formazione che nei primi decenni del ‘900 rese grande il nostro cinema. L’estate scorsa il Governo ha mosso passi importanti verso un ritorno al sostegno di questa arte e sarebbe la prima volta da 30 anni a questa parte».
Abbiamo bisogno di freschezza in generale, di una ventata di esperienza che faccia crescere i nostri autori e i nostri professionisti locali
Cinema indipendente e cinema commerciale possono coesistere?
«Sì, tutti i miei progetti erano film commerciali; se se ne hanno di buoni si può guadagnare bene, l’importante è puntare alla qualità. Potremmo far girare meno film sui nostri schermi, puntando per a una qualità maggiore. Oggi ho l’impressione che la gente sia confusa tra cosa sia “cinema” e cosa sia “contenuto” qualsiasi, che posso vedere in qualsiasi momento, on demand. È vero, oggi la nostra comunità di cineasti d’essai è davvero piccola, così come è piccolo il pubblico dei film d’autore. Ogni anno però al UBIFF vediamo arrivare ottimi film d’essai, seguiti da un buon pubblico sempre più interessato. Questo è incoraggiante e deve spingerci a girarne di più».
L’UBIFF dunque sta raccontando un cambiamento?
«Le ultime tre edizioni sono state molto buone, il Festival cresce, il pubblico cresce e c’è sempre più interesse per quello che accade in quelle giornate, qui. I professionisti vengono, sono coinvolti e chiedono di vedere più film. Si sta allargando l’orizzonte, abbiamo sempre più possibilità di esplorare altre cinematografie per crescere. Quel che manca è una formazione cinematografica moderna e il rischio è quello di realizzare opere che sono soltanto la brutta copia della realtà del Paese».
Salvo celebrare Gengis Khan…
«Potremmo fare meglio pure quello, benché non sia il tipo di film che mi interessa produrre. Ma è un bacino di storie sconfinato, bisognerebbe saperlo indagare ed esplorare meglio. Se da una parte solo uno storico può conoscerlo a fondo, dall’altra solo un regista può consigliarti come portarlo al cinema, con lo script giusto. Detto questo le storie da raccontare sono tante, non fermiamoci a Gengis Khan».
Quali?
«Tema difficile da affrontare, ma se da una parte abbiamo appunto un’enorme tradizione e storia antica, dall’altra c’è la nostra storia moderna, una realtà molto interessante da catturare, cogliere e raccontare; una realtà che oggi c’è, è qui, ma tra vent’anni forse non esisterà già più. Può interessare al pubblico internazionale? Non lo so, per capirlo avremmo bisogno di più occhi esterni, di consulenza, di qualche che ci aiuti a esplorare l’orizzonte».
Ad esempio Open Doors?
«Personalmente Open Doors ha dato un contributo essenziale alla mia formazione. Mi ha fatto capire cosa sia davvero un produttore, mi ha dato un’idea su che direzione prendere per andare avanti e mi ha suggerito quale sia il significato vero dell’essere produttrice. È stato l’inizio essenziale di un processo che è ancora in corsa e che non voglio più fermare».