C’è chi ama chiamarlo cinema del reale, quello che una volta era il documentario, che non è uno sport a parte, ma è semplicemente un genere dell’arte cinematografica che senza meno esplora la realtà, sebbene mediata da uno sguardo altro, e su questo si potrebbero aprire dibattiti e disquisizioni infinite di ordine etico, filosofico e più prosaicamente tecnico e stilistico. Ma non è questa la sede: qui parliamo di sette film, quelli che la Semaine de la critique del Locarno Festival ha scelto, come ogni anno da ventinove edizioni, per il suo giro del mondo che racconta storie davvero incredibili. Storie prima di tutto di donne, quelle di #FEMALE PLEASURE di Barbara Miller: cinque modi di affrontare e combattere la società maschilista, dal Giappone all’India alla comunità ebraica newyorkese. Poi un viaggio che, grazie alla cineasta Dorottya Zurbó e al suo Könnyű leckék, passa anche per la Somalia e l’Ungheria, accompagnando la giovane Kafia che cerca di abbracciare una nuova cultura spogliandosi delle restrizioni che la sua ha sempre imposto alle donne. Che sono coraggiose, come quelle che racconta Noor Al Helli nei suoi reportage, svelando le condizioni delle madri, figlie, sorelle, mogli irachene e siriane nella guerra contro l’Isis nel film di Reza Farahmand, Zanani ba gushvarehaye baruti (Women with Gunpowder Earrings). Condizioni di disagio, più o meno estreme, sempre da conoscere, perché l’ignoranza, si sa, genera mostri, come quelli che passano per la testa di Maja e Mladen, i protagonisti di Dani Iudila (Days of Madness) di Damian Nenadić, entrambi affetti da disordini mentali e meravigliosamente lucidi nel decidere come gestire le loro vite diverse, ma che non per questo devono essere meno felici. Una cosa che troppo spesso viene data per scontata, e che invece è sempre più difficile da ottenere e mantenere. Persino per i quattro fratelli tibetani che ha trovato la regista argentina Georgina Barreiro e che conosciamo grazie al suo La huella de Tara. Khechuperi, il villaggio tra le montagne dell’Himalaya in cui vivono e studiano, diventando anche loro depositari di una tradizione e una spiritualità millenaria, sembra essere un’isola incontaminabile, ma anche loro, prima o poi, dovranno fronteggiare quello che tutti chiamano, spesso erroneamente, progresso.
I territori sono fatti di chi ci nasce e vive, un concetto che purtroppo è da sempre violentato nella striscia di Gaza, tra Israele e Palestina, dove qualche anno fa scoppiò il curioso caso di una statua di Apollo trafugata, un’indagine che ne L’Apollon de Gaza di Nicolas Wadimoff porta a scoprire soprattutto la realtà di un luogo da troppo tempo negato.
Il viaggio della Semaine de la critique finisce, idealmente, nelle tante bellissime foreste francesi, anche loro destinate a diventare qualcosa di diverso per assecondare i bisogni dell’uomo, come racconta François-Xavier Drouet nel suo Le Temps des forêts. Siamo la creatura più esigente che cammina sulla Terra, senza capire che lei ci presta la vita, mentre noi la rubiamo ogni giorno. Anche a capire questo semplice concetto può servire un viaggio lungo sette film.