Kibbutz. Il kibbutz natìo ai confini con il Libano dove sei cresciuto, dove hai imparato tutto e dove hai fatto di tutto per andare via. Ma tuo padre muore e sei costretto a tornare per seppellirlo. Ad attenderti ci sono tua madre e i tuoi due fratelli, loro sono rimasti, induriti dalla vita in quei luoghi deserti dove tutto ciò che è sacro può essere cancellato da un momento all’altro dal rumore dei proiettili. E non c’è discussione, se ti chiamano prendi il fucile, metti l’uniforme e parti. Il più giovane dei tuoi fratelli ha solo due giorni prima di arruolarsi sul fronte libanese. Tuo padre ti ha insegnato come prepararlo, è un rito estremo, folle, e tu non ne vuoi sapere. Il primo film di Yona Rozenkier ha le fattezze esplosive di un Cimino (The Deer Hunter, ovviamente). Il passato incombe come un presagio oscuro, il presente è vicino al collasso, il futuro un destino incerto e fatale insieme. Rozenkier stupisce per la maturità con cui calibra i toni, guidando con foga e determinazione i suoi personaggi in un percorso di progressivo e quasi tossico accumulo della tensione, dove l’unico modo per fermare la violenza è altra violenza, fino a ritrovarsi completamente fuori controllo. Le sequenze estreme e a tratti indimenticabili si susseguono senza soluzione di continuità, intensificando l’energia narrativa. Hatzlila (The Dive) è come un pugno allo stomaco, non teme di filmare le contraddizioni e i paradossi di un Paese sempre sull’orlo dell’abisso. L’amore fraterno e la brutalità dei rapporti, il desiderio di pace e la semplicità oscena con cui si accetta di vivere e poi forse morire.