News  ·  08 | 08 | 2018

"Vedo un cinema italiano vivace e in salute"

Intervista a Paolo Taviani, regista di "Good Morning Babilonia" - Histoire(s) du cinéma

Maestro Taviani, la Piazza Grande è legata a un ricordo molto bello per lei e suo fratello Vittorio.

Un ricordo non vissuto in prima persona, purtroppo. Nel 1982 ci fu una bellissima proiezione de La notte di San Lorenzo in una Piazza Grande stracolma. Me lo raccontò Vittorio, perché purtroppo non ero potuto venire a Locarno in quell’occasione. Ma ho vissuto ugualmente quelle emozioni attraverso le sue parole.

Adesso torna al Locarno Festival per una proiezione di Good Morning Babilonia, un film che celebra il cinema e l’arte italiana e che è stato il vostro unico contatto con Hollywood. Come andò esattamente?

Raccontato così piace persino a me. Good Morning Babilonia non nasce da una nostra idea. Il produttore Edward Pressman a un certo punto ci chiamò e ci disse che assolutamente dovevamo fare un film americano con lui. Noi non eravamo convinti, il nostro cinema era troppo diverso per potersi adattare agli standard americani, non avevamo una storia che potesse andare bene e, memori delle delusioni che altri colleghi italiani avevano avuto nel loro rapporto con l’America, abbiamo gentilmente declinato l’offerta. Ma Pressman era testardo e a un certo punto ci manda un suo sceneggiatore, dicendoci che dopo aver sentito la storia avremmo voluto fare un film. Era il racconto di due fratelli artigiani toscani che costruirono il padiglione italiano della grande expo mondiale del 1915 a San Francisco. Quando D.W. Griffith vide il loro lavoro, chiese di cercarli perché li voleva per le scenografie di Intolerance. E così fu. Ovviamente la storia ci piacque molto e la scrivemmo nel nostro stile, e così nacque Good Morning Babilonia.

Dopo Locarno, anche la Mostra del cinema di Venezia vi renderà omaggio, proprio con una copia restaurata di La notte di San Lorenzo. Credo sia una grande soddisfazione per un cineasta veder rivivere le proprie opere.

Sono molto felice, anche perché con Vittorio ci siamo sempre chiesti, dopo ogni film, se avrebbe resistito all’usura del tempo. La Cineteca Nazionale ha organizzato poche settimane fa una serie di proiezioni dei nostri film a Roma, tra cui il nostro primo, San Michele aveva un gallo, che non era praticamente nemmeno uscito all’epoca. Mi sono sorpreso a vedere la platea stracolma e attenta. Segno che evidentemente le nostre preoccupazioni non erano fondate.

Sulla modernità del vostro cinema non ci sono dubbi, lo dimostra l’Orso d’oro vinto a Berlino con Cesare deve morire. Lei come vede invece il cinema oggi?

Lo vedo poco al cinema, purtroppo, mi faccio mandare spesso dei dvd per poter vedere i film a casa sul televisore o sul computer, cosa che mi fa sentire terribilmente in colpa con i registi. Vedo comunque un cinema italiano vivace e in salute, grazie a molti autori di talento, anche se alcuni un po’ discontinui (non faccio nomi perché non mi permetto di criticare il lavoro degli altri, è solo un’opinione personale). In ogni caso, è un momento che mi ispira molta fiducia, grazie anche a tanti giovani registi. Ma se devo essere sincero, quello che veramente mi appassiona sono le serie televisive. Lo dico da anni, sono il futuro della narrazione cinematografica, perché danno ai giovani cineasti la possibilità di scrivere la loro epica. Una volta era un privilegio della letteratura, quello di poter creare grandi affreschi: penso a Tolstoj, a Balzac. Oggi è possibile anche al cinema, o meglio, in una forma diversa di cinema, che va oltre la regola della durata per diventare qualcosa di più ampio e che, a mio parere, è il futuro del cinema.

Quindi il suo prossimo lavoro sarà una serie?

Se il tempo che ho a disposizione me lo permettesse, mi piacerebbe moltissimo, e non sarebbe una trasposizione di un’opera esistente, ma una storia originale, come tutte le serie dovrebbero essere. Al momento però sto lavorando a un film tradizionale nella durata – meno, penso e spero, nella struttura e nella narrazione. Ma come abbiamo sempre fatto, non le dico di che si tratta finché non sarò certo che andrà in porto. Siamo sempre stati scaramantici.