C’è tutto lo spirito del ’68 – scanzonato, ironico, libertario – in Vip, mio fratello superuomo, che, negli anni in cui Eco indagava il ruolo del superuomo nella società di massa, declina il discorso nella forma irresistibile della commedia animata per ogni età. Protagonisti sono i fratelli Supervip e Minivip, l’uno provvisto di tutti i poteri d’ordinanza, l’altro dotato solo di un paio di alucce smilze. Loro nemesi: la magnate dei supermercati Happy Betty, che, al grido di “Il più importante fattore dei nostri tempi è la pubblicità”, sta tramando per inoculare il consumismo direttamente dentro le menti della gente. Tra psicanalisti, antropologhe, operai sfruttati, lavaggi del cervello, citazioni di Carosello e esplosioni di bombe HB (gentilmente offerte da Happy Betty), Vip, mio fratello superuomo è un’arguta incursione nello spirito del tempo che si nutre della cultura di massa americana (Supervip vive nella Statua della libertà) rileggendola con miscredenza grazie a disegni ironici, colorati, artigianali che da soli sconfessano tutto un mondo basato sull’omologazione.