L’anteprima di Wintermärchen non poteva essere più attuale, a un mese dalla condanna in primo grado all’ergastolo per Beate Zschäpe, unica sopravvissuta della cellula neonazista responsabile di 10 omicidi, alla cui vicenda si ispira il film di Jan Bonny. Ma non è la sola coincidenza: a fine giugno la Germania usciva a sorpresa dai mondiali di calcio in Russia, con la sua peggior prestazione di sempre. Il salto dal terrorismo xenofobo al pallone è azzardato, eppure è proprio la Sommermärchen, la “favola estiva” della vittoria tedesca nel mondiale giocato in casa che richiama il titolo: nel 2006 i tedeschi riscoprivano il piacere negato di sventolare la bandiera, ma quella gioiosa occasione ha rappresentato simbolicamente anche il superamento del tabù di un certo orgoglio nazionalista e identitario, che da allora ha ripreso voce tanto nelle piazze con movimenti come Pegida, che in politica con il successo di Alternative für Deutschland. Wintermärchen fa attraverso i suoi protagonisti Becky, Tommi e Maik, una potente operazione di ribaltamento della cronaca giornalistica e giudiziaria, immaginando profili e motivazioni dei tre, ma a risultare davvero oscene non sono tanto le sequenze esplicite in cui si dipanano i loro morbosi rapporti di potere, dipendenza e violenza, quanto quelle in cui emergono il consenso più o meno esplicito di chi li circonda, gli sguardi infastiditi ma comprensivi dei cittadini qualunque e il sostegno della rete politica di discreti fiancheggiatori e funzionari compiacenti che ha permesso di agire tra il 1999 e il 2011, e che il processo a Zschäpe si è guardato bene dal tirare in ballo.