Come raccontare quasi un secolo di Storia cinese (dal 1920 agli anni Sessanta) attraverso il filtro dell’arte, davanti e dietro la macchina da presa. È ciò che fa il documentarista QIU Jiongjiong – già a Locarno nel 2015 con il documentario sperimentale Chi (Mr. Zhang Believes) – con la sua prima opera di finzione, Jiao ma tang hui (A New Old Play).
Un film imponente, a tratti impegnativo (appena sotto le tre ore, ricco di riferimenti culturali non sempre accomodanti nei confronti di chi non conosce bene la cultura locale), ma anche scorrevole e a suo modo divertente, con un senso dell’umorismo stralunato dettato dalla premessa: Qui Fu (Yi Sicheng), un attore che per anni ha interpretato il ruolo del clown in seno a una compagnia teatrale, è appena morto e quando arriva nell’aldilà evoca per l’ultima volta i suoi ricordi, sullo sfondo di cinque decenni di eventi cinesi del secolo scorso, dai malcontenti politici nella provincia di Sichuan fino agli inizi della Rivoluzione culturale.
Il regista applica il suo occhio documentaristico alla rievocazione di ciò che è accaduto nel suo paese, infondendo però anche uno spirito surreale che ha un che di felliniano per via della figura principale e aggiungendo l’afflato tragico di Shakespeare (autore a cui si associa il fatto di attribuire il ruolo del clown sempre allo stesso attore – nel suo caso, il noto istrione elisabettiano Will Kemp). Un viaggio onirico che, con una fotografia ipnotica dal fascino pittorico, sovrappone due mondi, applicando un filtro deliziosamente al di là del reale a una struttura non dissimile da quella dell’altrettanto fluviale La recita di Theo Angelopoulos, che nel 1975 – circa dieci anni dopo la fine dell’arco cronologico coperto da questo film – raccontava con lo stesso punto di vista la Grecia del secondo conflitto mondiale e dopoguerra. Un esordio ambizioso e potente, quello di QIU Jiongjiong, la cui carica tematica e visiva non lascia indifferenti.
Max Borg