Dopo aver partecipato alla Filmmakers Academy nel 2019, per te Locarno è un ritorno. Questa volta nella sezione Concorso Cineasti del presente, con il film Brotherhood. Come sei venuto a conoscenza della storia di questi tre fratelli e di loro padre? Cosa ti ha portato in questa particolare comunità?
La prima idea di realizzare Brotherhood nacque quando vidi la famiglia Delić in un reportage televisivo. La storia di tre fratelli, tre ragazzi inseriti in un contesto bucolico, che devono fare i conti con un padre radicalista islamico. Quel servizio mi ha spinto a pormi delle domande: chi sarei diventato da adolescente se fossi cresciuto con un padre forte e autoritario come Ibrahim? Avrei seguito le sue orme o avrei deciso di ribellarmi per cercare la mia identità? Queste domande mi hanno portato nel 2015 nel loro villaggio in Bosnia, quando Ibrahim aveva appena iniziato il processo che lo avrebbe portato poi alla condanna per terrorismo.
Cosa ha significato per te fare un film che seguisse il tempo della vita e stare con loro per anni?
Seguire da vicino un processo di crescita è sempre una scoperta – o riscoperta – dell’adolescenza, e delle difficoltà che dobbiamo affrontare per diventare adulti. È stato un percorso difficile anche per me, umanamente, di fronte alla loro crescita in un contesto tanto duro, e poi come regista, dovendo affrontare una comunità chiusa e non sempre benevola verso la nostra presenza.
Ciononostante, sono riuscito a guadagnarmi il loro rispetto quando hanno capito che volevo raccontare il mondo dal loro punto di vista e non dal mio, privilegiato.
L’immersione nella natura è estremamente importante, ma anche bilanciata dalle spedizioni in città: come hai elaborato i diversi ambienti e la loro incidenza sui ragazzi?
Gli ambienti hanno un forte significato per i personaggi: rappresentano il loro mondo interiore, il loro stato d'animo. La natura e la città sono due antipodi che coesistono. Secolarizzarsi e rinchiudersi nel contesto rigido dove sono nati? Oppure cercare un mondo più libero come quello occidentale, tra piacere e capitalismo? La mia regia ha cercato di dare un senso a questa dicotomia facendo degli spazi uno specchio dei sentimenti di Jabir, Usama e Uzeir.
Daniela Persico