News  ·  02 | 08 | 2023

Il nostro è un mondo di gente che inciampa

© Laurent Thurin Nal

Da dove viene Boris, con il suo doppio?

Dominique Abel. Questa sceneggiatura risale a molto tempo fa. È stata la prima cosa che abbiamo scritto, alla fine degli anni Ottanta. Riprendendo la storia abbiamo pensato alla realtà che ci circonda, con questa crisi politica profonda, pensando che sarebbe stato il momento per dare maggiore respiro alla vicenda. Invece di giocare con i codici di un film noir, ponendo al centro un cattivo, ci siamo detti che sarebbe stato forse meglio se avesse avuto un passato politico, ma non volevamo che fosse un estremista di destra o un mafioso. Sarebbe stato più toccante se fosse stato un tipo con un passato di impegno politico di estrema sinistra. Un personaggio ambiguo e interessante, come spesso accade nei film noir.

 

È più cupo dei vostri altri film, è lo spirito dei tempi?

Fiona Gordon. Volevamo realizzare un polar, utilizzandone l’atmosfera e i codici. Non è un puro burlesque come nostra abitudine. Come il burlesque è un parente della commedia, così il polar è la versione poetica del dramma. L'Étoile Filante è più malinconico, è vero, ma non l’abbiamo scelto, è così che è andata.

 

Fate di solito dei film fuori dal tempo, ma in L'Étoile Filante c’è una maggiore consapevolezza delle dinamiche che viviamo oggi.

DA È così, volevamo anche che i due periodi si specchiassero. Eravamo giovani, poco più che ventenni, durante gli anni di piombo. C’erano tensioni sociali, la gente manifestava per la strada contro la crescita del capitalismo e del liberalismo. Cercavano di tutelare ideali di sinistra. 35 anni dopo, accade la stessa cosa, con gli stessi slogan. Chiedono più soldi per l’educazione, perché niente è stato fatto in tutti questi anni, allora scendono in piazza e reclamano di nuovo.

L'Étoile Filante è un locale che rappresenta una specie di rifugio per molta gente.

FG È esattamente questo, un rifugio. Lo è per tutti i nostri personaggi, che sono dei marginali con bisogno di protezione, come Boris, il barista. Poi c’è Dom, il suo doppio sempre interpretato da Dominique. È perduto, triste, irrompe in questo mondo con la volontà di distruggerlo, ma al contrario ritrova la gioia di vivere. È interessante lavorare quasi esclusivamente in un luogo. È un gran piacere giocare con tutto quello che si può fare in un unico posto. È una forma di purezza che amiamo.

 

Come lavorate con lo spazio, voi e insieme ai vostri attori, per dare alla coreografia questa fluidità?

DA La maggior parte delle persone con cui lavoriamo ha un background da clown o di commedia fisica. Alcuni fanno spettacoli in solitario, un’altra attrice, Kaori Ito, è una danzatrice contemporanea. Ci piace mettere in primo piano il corpo, perché è spesso divertente, nessuno ha scelto il proprio corpo. Lo si controlla molto meno del linguaggio, che è un po’ il portavoce ufficiale del governo, ma il corpo va spesso per conto suo. Il linguaggio corporale attraversa le frontiere e le culture. Ci appassiona. Detto questo, scriviamo una sceneggiatura molto essenziale, facciamo delle prove con delle piccole telecamere, da noi in studio, insieme agli attori. Prove di tutto, fisiche.

FG E gli attori contribuiscono molto. Non c’è niente di prestabilito, se qualcosa non sembra funzionare con loro, allora tentiamo qualcos’altro che vada bene. Improvvisando, piano piano tutto va al suo posto.

 

Il vostro è un percorso di ibridazione fra lo spettacolo dal vivo e il cinema.

Contrariamente a quello che pensano altri cineasti, che vogliono che ci si dimentichi di essere al cinema, dando la sensazione di essere nella vita reale, noi siamo sempre legati a un’idea molto diversa. Vogliamo ricordare agli spettatori che siamo lì per loro, per divertirli e raccontare una storia, mantenendo una complicità fra chi recita e chi guarda.

 

È più facile o più complicato far ridere, in un momento di crisi come questo?

DA Penso che la risata abbia ancora più spazio nei periodi drammatici. Parlavamo di linguaggio fisico, il cinema muto è esploso negli anni Venti e Trenta. Ridere è importante.

FG È liberatorio, abbiamo bisogno di ridere dei nostri malesseri.

DA È una maniera per rivivere le cose che feriscono o tragiche, ma in maniera diversa, mettendo della distanza in modo di superarle.

 

Vi manca un pubblico mentre fate cinema?

FG Sicuramente. A teatro giochiamo direttamente con la reazione del pubblico. Ma non possiamo far finta che ci sia, nel cinema. Non c’è, è falso pensare di interagire con un pubblico. Pensiamo di creare piuttosto dei tableaux.

DA All’iniziamo ci abbiamo provato, utilizzando degli sketch che avevamo fatto mille volte a teatro, ma non funziona. La risata è musica, è un tempo, riempie il vuoto. Noi quando recitiamo guardiamo il pubblico e battiamo un tempo. Se non c’è, è un tempo morto. Abbiamo dovuto imparare a scrivere in maniera diversa. Ma gli spettatori per noi sono importanti, e stasera in Piazza Grande li avremo per la prima volta e capiremo quello che abbiamo sbagliato e quello che abbiamo fatto bene.

 

Cosa vi aspettate dall’esperienza in Piazza, davanti a migliaia di persone?

FG Vedremo, speriamo che verranno catturati dal film. È la prima volta, non sappiamo cosa aspettarci.

DA Potremo giudicare dalla qualità dei silenzi e dalla risata. Ci sono dei silenzi riempiti e altri che dimostrano semplicemente che la gente si annoia. La visione collettiva è un fenomeno davvero interessante. La vera musica del film è costituita dalle risate del pubblico o dalla qualità del suo silenzio.

 

Voi parlate spesso di persone ai margini, ma sempre con grande umanità. Vi ispirate dagli incontri della vita quotidiana?

DA Il mondo è pieno di gente che inciampa. Abitiamo a Bruxelles ed è pieno di gente che vive nella precarietà, per strada. Ovviamente è una cosa che ci turba. Poi Fiona non smette di sbattere dappertutto, è una grande fronte di ispirazione.

FG Siamo dei clown, partiamo dal nostro essere goffi e lontani dalla perfezione. Li rappresentiamo essendolo in prima persona. Contiamo che le nostre debolezze siano anche quelle degli spettatori.

 

Mauro Donzelli