News  ·  03 | 08 | 2018

"Un lungo casting per trovare la mia Alice"

Intervista a Radu Muntean, regista di "Alice T." - Concorso internazionale

Il suo film, Alice T., è la storia di una ragazza, figlia adottiva, che mente a tutti, anche a se stessa. Com’è nato il suo personaggio?

Nella mia famiglia o comunque nella mia vita c’erano sempre bambini adottati, quindi quel tipo di personaggio aveva già attirato da tempo la mia attenzione. Inizialmente si trattava di riconciliarmi in qualche modo con episodi del mio passato, e cercare di capire quel comportamento camaleontico che per me è un istinto di sopravvivenza, un modo per attirare l’attenzione e ottenere il controllo, che può essere spaventoso e commovente.

Il film è sorretto dalla straordinaria performance della giovane Andra Guți. Come l’ha incontrata?

Il casting è stato un processo lungo. Ho visto più di 800 ragazze, ma se devo essere sincero sapevo dall’inizio che Andra sarebbe stata la scelta ideale. Però non gliel’ho detto subito perché volevo accertarmi che fosse pronta a lavorare duro, in base alle necessità del film. Mi ritengo fortunato ad averla incontrata, ha degli istinti fenomenali.

La trama porta a un finale molto forte. La struttura era così dall’inizio o ci è arrivato col tempo?

Ho lavorato alla sceneggiatura per diversi mesi insieme a Răzvan Rădulescu e Alex Baciu, e sì, il finale era previsto sin dalla prima versione della sinossi.

Può parlarci del suo rapporto con il direttore della fotografia Tudor Lucaciu?

Tudor e io abbiamo lavorato insieme dai tempi della scuola di cinema, e nonostante cinque lungometraggi, un documentario e qualche centinaio di pubblicità il nostro non è sempre un rapporto facile. Ma siccome non cerco la facilità e Tudor è una delle persone più appassionate e talentuose che io conosca, il risultato è sempre gratificante. Forse il fatto che, nonostante il vissuto comune, non siamo sempre completamente in sintonia rende il tutto più vivo e creativo, a vantaggio del film.

Lei è già stato a Locarno nel 2006 con Hîrtia va fi albastrã (The Paper Will Be Blue). A distanza di dodici anni, cosa ricorda di quell’esperienza?

Era il mio primo grande Festival e ho dei ricordi molto vividi della prima proiezione al FEVI. Non riesco a pensare a molti altri luoghi dove alla proiezione di gala ci sono circa 3’000 persone. È un privilegio essere di nuovo qui, in uno dei pochi festival che sostengono il cinema arthouse e indipendente.