Signora del palcoscenico, ragazza del piccolo schermo, mamma del set. Il mondo del cinema saluta Ilaria Occhini, una delle ultime dive italiane, donna intelligente e attrice signorile. Brava, elegante e amica, impossibile non affezionarsi ai personaggi che non a caso la fecero diventare un volto di casa nei salotti delle famiglie italiane. Ilaria Occhini era figlia del palcoscenico, in qualsiasi sua dimensione. Battezzata dall'arte, nipote di Giovanni Papini che le dedicò il racconto breve La mia Ilaria, nel corso di una lunga carriera iniziata giovanissima Occhini ha saputo vivere la sua professione, l'essere attrice, trasversalmente, tra teatro, grande e piccolo schermo.
Amatissima protagonista di moltissimi sceneggiati Rai, Ilaria Occhini visse una delle più brillanti stagioni del teatro italiano, calcando i legni del palcoscenico per Luchino Visconti o al fianco di Vittorio Gassman, per Peppino Patroni Griffi o Luca Ronconi. Con la signorilità e la cortesia che la contraddistinguevano arrivò sui set di Mario Monicelli (Il medico e lo stregone, 1957), Ugo Tognazzi (Il mantenuto, 1961), Dino Risi (I complessi, 1965) e Francesca Archibugi (Domani, 2001). E fu forse proprio la sua signorilità, la sua voce educata a raccontare e mai a urlare a condurla silenziosamente verso una seconda primavera sbocciata con il nuovo secolo. Negli anni 2000 Ilaria Occhini riconquistò il grande schermo italiano con Mar Nero di Federico Bondi (2008) e Mine Vaganti di Ferzan Özpetek (2010). Due meravigliose interpretazioni che la portarono a un David di Donatello (2010) e un Pardo d'oro (2008). Qui, a Locarno, in un'estate in cui il pubblico ritrovò o in parte scoprì quella meravigliosa signora del cinema.
Forse il segreto di Ilaria Occhini era sì che amava immensamente la recitazione, ma ancor prima che la rispettava. Rispettava le sue regole, i suoi tradimenti, le sue fatiche. Atteggiamento che le ha permesso di rivolgersi sempre alla camera e allo spettatore con la credibilità di una ragazza, di una mamma, di una signora per bene. "Non mi abituerò mai a pronunciare la prima battuta - scrisse nella sua autobiografia - Cerco di modulare, ritmare, impostare. Ma ogni volta è morire".