Non solo diario di un paese in guerra, Fi al-thawra (During Revolution) segue un gruppo di attivisti politici innamorati degli ideali. La loro fede nella capacità del paese di rinnovarsi non tarda tuttavia a scontrarsi con dilemmi generazionali e confessionali, che si trasformeranno gradualmente in conflitti. Attraverso il destino dei suoi personaggi nel corso degli anni, il film di Maya Khoury con il collettivo Abounaddara riesce nel profondo a essere oggettivo posizionandosi in una prospettiva storica e offrendo una riflessione politica su eventi che stanno avendo luogo o sono appena avvenuti. Come si può formare un gruppo rappresentativo e pronto a governare? Questa domanda essenziale ricorda ciò che si chiedeva Simone Weil ne La prima radice: come creare la coscienza collettiva e individuale di appartenere a un popolo, condizione necessaria per governare un paese? O, semplicemente, cos’è un popolo?
Quest’analisi oggettiva è nutrita da punti di vista soggettivi provenienti dall’interno del gruppo, in particolare quello di Nour, giornalista impegnata e principale personaggio femminile del film. Al centro del gruppo all’inizio, col suo spostarsi al di fuori di esso dà un segnale forte che segna la fine degli ideali. Non può più resistere ai margini: per continuare la propria resistenza deve spostarsi fuori dai margini, oltre i confini. Questa donna è la voce di una coscienza collettiva possibile solo fuori dalla propria terra, perché «abbiamo perso tutto, i laici hanno perso».
Di fronte alla distruzione, come si preserva la propria umanità? Aiutando i più piccoli, i più fragili, come il gattino salvato dalle macerie.