Fuori orario. Fuori sync. Fuori da ogni schema. Fuori, sempre, come tutti gli outsider. E un po’ fuori, perché la follia, un pizzico, è dei geni. enrico ghezzi è stato tanto, e lo è ancora. Occupando il palinsesto notturno di una rete pubblica ha cresciuto generazioni insonni di cinefili, diventando l’università del cinema di molti futuri critici e cesellando il gusto dello spettatore in un’epoca in cui il cinema mainstream cannibalizzava il mondo e arene e festival si erano dimenticati di autori e onde artistiche, creative e politiche. È stato sguardo al futuro, nella tv, con format rivoluzionari, è memoria storica e dell’immaginario per il grande schermo sul piccolo. Direttore di festival internazionali – ghette e bermuda a Taormina, dal 1991 al 1998, ispirato e uguale a se stesso di fronte a tre persone come a 3000 –, speaker radiofonico, cofondatore di una rivista fondamentale e fondante per il genere come Il Falcone Maltese, a volte attore e pure protagonista di un cartone animato (Hello Ghezzy!), filosofo, cultore ossessivo di Fuori Orario – cose (mai) viste e dell’uso parossistico della parentesi come matrioska semantica, regista raffinato e sghembo, saggista (ma anche prefattore generoso) prolifico, è una colonna del cinema, non solo della critica.
Ha reso realtà l’utopia, e Locarno lo premia con un riconoscimento ad essa intitolato: non ha mai cercato la scorciatoia del successo, è diventato un’icona in tutta Europa, un’immagine quasi warholiana che ha trasceso i confini catodici e geografici. enrico ghezzi è La macchina dello spazio, un’Aurmageddon di 80 minuti che vedremo al Festival, sintesi e antitesi, come sempre, di un corto circuito costante di punti di vista, che vanno da Stanlio e Ollio a Ozu.
Più di tanti autori e colleghi, ha determinato la visione e la riflessione di migliaia di persone, ha preteso di cavalcare in direzione ostinata e contraria eludendo le luci della ribalta, preferendone le ombre. Non si è mai tirato indietro, al massimo si è mosso di lato, per guardare meglio o mettersi, metterci, mettere capolavori e maestri in discussione. Fuori Orario non è una trasmissione, ma un’agorà, è la canna di un pescatore paziente che sa trovare gemme negli archivi come nelle rassegne internazionali, sempre alla ricerca di una Moby Dick da arpionare (ma per salvarla), così come Blob non è solo un programma di montaggio, ma un esperimento di costruzione linguistica e di destrutturazione dell’immagine, di creazione di una critica sistematica di contenuto al contenitore che sfruttava, oltre che al mondo che raccontava.
enrico ghezzi salvò una generazione dall’odioso oblio di una tortura di massa e di stato: chi tornò da Genova nel 2001 con anima e corpi feriti trovò in lui, che nel capoluogo ligure ha costruito se stesso, una voce e uno sguardo (in) surplace; testimone in tutti i sensi, inondò la notte Rai del materiale video che raccolse durante il G8, spesso muto (poi trovò coerenza geniale nel format Zaum). Fu testimone con le immagini ma anche, nel 2007, in aula, nel processo per il tentato omicidio di Mark Covell, a cui dei poliziotti sfondarono i polmoni a calci. Naturalmente coraggioso e rigoroso, è l’esempio del caos, forse per la fantasiosa tricologia, forse per quel fuori sincrono, forse perché non ha mai escluso qualcosa, ma aggiunto, cercando di regalarci più cinema, cultura, immagini possibili. Mai conformi, mai conformiste, come lui, come quell’intervista video di 30 anni fa a Nanni Moretti, 51 minuti epocali. ghezzi, fuori dall’Italia citato da ministri e Nobel, è archeologo e astronauta, filologo ed esploratore, restaura(u)tore. Ha comprato, ritrovato, (ri)scoperto, sottotitolato, trasmesso, lanciato, cambiato, rivoluzionato.
ghezzi non dovrebbe diventare un aggettivo, come Fellini. Dovrebbe diventare un verbo.