Scopri le Locarno Shorts Weeks 2022
Jonas Ulrich, 31 anni, zurighese, nel 2020 ha vinto l’edizione più atipica dei Pardi di domani. Un’edizione in larga parte “da remoto”, lontana, in piena emergenza sanitaria, durante la quale però il Locarno Film Festival non ha voluto arrendersi. Non ha voluto mettere in stand-by il cinema e con lui una generazione alle prese con il proprio futuro nel cinema. Autori per cui esserci, nonostante tutto, era fondamentale. Quell’estate con il suo Menschen am Samstag Jonas è riuscito a conquistare gli occhi e i cuori on-demand, vincendo il Pardino d’oro del Concorso nazionale. E oggi, mentre di corto ne ha già girato un altro, il suo Menschen am Samstag è tornato protagonista delle Locarno Shorts Weeks. Di nuovo un palcoscenico, di nuovo Locarno.
Nel 2020 hai vinto il Pardino d’oro da “remoto”. Cosa ricordi di quelle giornate?
«È stato decisamente surreale. Non c'è stata nessuna cerimonia di premiazione, abbiamo aspettato con ansia a casa finché non è uscito il comunicato stampa. Le reazioni sono arrivate passo dopo passo, ma naturalmente eravamo estremamente felici.»
Cosa è successo da quando avete ricevuto il Pardino d'oro Swiss Life?
«Siamo contenti che Menschen am Samstag abbia potuto viaggiare così lontano da Locarno, ad esempio Uppsala, Vienna, Bruxelles e Reykjavik e in tutta la Svizzera con La Notte del Cortometraggio. Questo mi ha dato qualche occasione in più per vedere il film sul grande schermo e sperimentare le reazioni del pubblico. Nel 2021 intanto ho realizzato un nuovo cortometraggio, Behördenhasser, proiettato al Kurzfilmtage Winterthur e al Solothurner Filmtage. Oltre a questo sono coinvolto in vari progetti cinematografici, sperando naturalmente di riuscire a realizzare un lungometraggio nel prossimo futuro.»
Hai iniziato come giornalista e critico cinematografico, oggi sei un regista. Quali aspetti dei due diversi "ruoli" ti affascinano di più? Ti ha aiutato essere un critico prima di diventare un regista?
«Sicuramente. Come critico cinematografico sei costretto ad avere una mentalità aperta. Non puoi cestinare tutte le commedie perché personalmente non ti piacciono, quindi cerchi di giudicare ogni film in modo equo e senza pregiudizi. Cosa hanno cercato di ottenere i registi? Come ci sono riusciti? È così che voglio che i miei film siano giudicati. Allo stesso tempo poter valutare rapidamente un film, con un certo distacco, è un lusso. Quando si fanno i film da soli si impara soprattutto una cosa: è molto, molto lavoro. Si passa un'eternità su ogni taglio e su ogni dialogo. Questo rende assolutamente impossibile giudicare il proprio film in modo obiettivo.»
Menschen am Samstag è un'istantanea di dieci storie svizzere. Alludendo al nome del partner di Locarno Shorts Weeks, si sarebbe potuto chiamare anche "Swiss Life". Il mondo è cambiato da quando hai girato il film, la pandemia ha sconvolto la vita quotidiana. Se tu dovessi ripercorrere questa strada oggi, cosa diresti della stessa Zurigo, di questa vita quotidiana?
«La vita quotidiana è sicuramente cambiata. Divento quasi un po' nostalgico quando rivedo il film, oggi. Allo stesso tempo penso che negli ultimi due anni tutti abbiamo sperimentato molte situazioni nuove e assurde nella nostra vita quotidiana, che sarebbero materiale meraviglioso per un altro cortometraggio.»
Come è cambiata la tua prospettiva in questi due anni? I tuoi interessi cinematografici sono cambiati? Quali sono le cose che senti di voler e dover raccontare?
«Non credo che la mia prospettiva e le mie intenzioni artistiche siano cambiate, tuttavia ad ogni film che si fa si imparano molte cose nuove. Cosa è fattibile, cosa non lo è? Quali sono i miei punti di forza? Le idee astratte vanno bene, ma l'arte sta nel visualizzarle e drammatizzarle. I film sono davvero come i bambini, come diceva Billy Wilder. Hai speranze e aspettative su di loro, ma alla fine hanno la loro vita, e non tutti crescono per diventare Einstein.»
In quale direzione pensi che si svilupperà il cinema?
«Non si può più parlare di "cinema" come termine collettivo per l'arte cinematografica nel suo insieme. Questo è significativo. La nuova parola d'ordine è "contenuto", che trovo un termine difficile. Il cinema è equiparato ai tutorial di trucco e ai podcast di un'ora sulle teorie di complotto. Allo stesso tempo, mai come oggi le persone hanno accesso all'intrattenimento cinematografico, il che mi dà speranza. E il fatto che possa svilupparsi un hype nell’universo del web intorno a un film surreale in bianco e nero come The Lighthouse mostra i lati positivi di queste trasformazioni.»
In questa rivoluzione, tra piattaforme e sale, quale ruolo pensi che debbano avere i festival?
«Nei festival sono le persone a decidere la selezione, non gli algoritmi. In questo processo di selezione e curatela alcuni film che altrimenti verrebbero ignorati dal “mainstream" guadagnano attenzione. Se non accendiamo i riflettori su realizzazioni artistiche speciali, tutto rischia di perdersi in un flusso infinito di contenuti digitali. Questo, per me, sarebbe terribile: si guarderebbero più film che mai, ma non rimarrebbe nulla.»