C’è una roccaforte difficile da espugnare e c’è un castello da cui sembra impossibile evadere. Questa è Melilla, di una bellezza rigorosa e impenetrabile, nelle immagini del film di Sylvain George, un secondo affondo su un territorio nevralgico per le politiche europee sull’immigrazione dopo Nuit obscure – Feuillets sauvages (Les brûlants, les obstinés), presentato l’anno scorso Fuori concorso a Locarno. Se il primo documentario si offriva come un affresco sulla complessa situazione geopolitica, raccontando attraverso vari volti lo stato in cui si trovano intrappolati gli uomini che stanno cercando di passare il confine verso l’Europa, questo secondo movimento si concentra sulle storie dei minori. Un gruppo di ragazzi, a guardarli bene bambini, che vivono soli per le strade di Melilla: il tempo in cui ci sono arrivati è ormai imprecisato, troppo per non essersi in qualche modo organizzati, troppo poco per aver abbandonato l’idea di continuare il loro viaggio. Le giornate si susseguono identiche tra il trovare qualcosa da mangiare, farsi un tuffo in mare, cercare la maniera per superare il confine e poi sistemarsi per la notte, recuperando le coperte in anfratti insospettabili. Nel gruppo si è creata una forma di coesione, una fratellanza che li porta a condividere memorie dolorose e traumi che sarà difficile superare. Si litiga, talvolta la tensione sale, l’abbraccio si trasforma in scontro, cellule eversive all’interno di una città apparentemente immobile, incapace di accogliere il dolore che la sta attraversando.
Trabocca di rabbia la fortezza di Melilla, una forza che sembra capace di farla esplodere, nel guizzo della corsa dei ragazzi, nel loro liberarsi nelle onde come spuma di mare. Si perdono nelle immagini digitali dei loro cellulari, ritrovandosi poi nella parola poetica: un testo di grande potenza, composto da loro, alla fine di questo viaggio che li porterà nelle strade di una grande città europea. Ugualmente invisibili, possibili pietre che fanno saltare un ingranaggio, possibili futuri cittadini da cui apprendere una nuova umanità.
In una ricerca durata cinque anni, in uno stare al loro fianco anche nelle situazioni più estreme, il cineasta francese Sylvain George cede il passo ai suoi piccoli protagonisti, il suo cinema dialettico si apre a una forma di pedinamento che trova nuovi tempi e associazioni visive per raccontare i giovani, il loro ignobile presente e la loro speranza verso un futuro migliore.
Daniela Persico