Intimo e colossale. Bernardo Bertolucci era così, padrone di un cinema profondo e classico, capace di infilarsi nelle più piccole sale e allo stesso tempo illuminare Hollywood. Scomparso oggi a sei anni di distanza dal fratello Giuseppe, il regista emiliano era un architrave del cinema italiano e un signore del cinema internazionale. Padrone di un cinema "ultimo". Ultimo come un tango a Parigi (1972), film che fece mormorare e arrossire, ultimo come quell'Imperatore che gli consegnò le chiavi d'America con nove premi Oscar nel 1988 (L'ultimo imperatore, 1987). Ultimo come una rivoluzione (The Dreamers, 2003) o come un secolo in scadenza (Novecento, 1976). Ultimo come lo era, fino a questa mattina, tra i Maestri del cinema italiano.
Un Maestro che non a caso al Locarno Film Festival - che ebbe l'onore di consegnargli il Pardo d'onore nel 1997 - entrava ad ogni respiro. Entrava in Piazza Grande con Il conformista (nel 1993) o con Ultimo tango a Parigi (1997), negli omaggi a Sandrelli (di nuovo con Il conformista, 2016) o Storaro (Strategia del ragno, 2005), nei film voluti dalle giurie (L'ultimo imperatore, 2012) o addirittura nei film degli altri, come in Ora e sempre riprendiamoci la vita (Silvano Agosti, Fuori concorso a Locarno71) o in Bernardo Bertolucci: a cosa serve il cinema (Sandro Lai, Cineasti del presente, 2002).
Nel 1984 Bernardo Bertolucci al Locarno Film Festival ebbe carta bianca; quella preziosa Carte blanche con cui un autore condivide il suo cinema, del cuore e dell'anima, con il pubblico. E noi, oggi, vogliamo ricordarlo così, con i (non) suoi film che condivise con noi: