L’idea di partenza è semplice. Filmare i giovani, di notte, preferibilmente in spazi pubblici. Matthieu Bareyre porta la macchina da presa per le strade, non per filmare gli sballi, gli incidenti, la violenza o la povertà ma la vita quotidiana di chi non ha paura di uscire la sera, perché trova che le piazze siano di tutti. Con una fiducia nel cinema come strumento capace di captare le vibrazioni di una società, mette in piedi un film che richiama la stagione dell’impegno negli anni Settanta. Il sottointeso è, infatti, che esiste ancora una vita collettiva, che contrariamente alla vulgata i millennials non vivono chiusi in loro stessi, ma hanno un discorso politico e sanno comunicarlo.
L’Époque è un ritratto in positivo dei giovani parigini: che siano rapper o graffittari, semplici studenti o militari di stanza per le strade, i testimoni incontrati dal regista e i suoi collaboratori parlano con cognizione di causa, sono coscienti che spetta a loro cambiare le cose e hanno intenzione di farlo. Si può controbattere che le voci che compongono il film rappresentano una minoranza, se anche così fosse resta l’impressione a film finito che il futuro è meno lugubre di quel che sembra. Tra queste un posto a parte merita Rose. Nascosta sotto spessi strati di vestiti, questa ragazza è l’anima e il cuore del film. Ha la sfrontata bellezza di chi non possiede nulla se non la forza delle sue parole, la luminosità dello sguardo, la dolcezza delle lacrime. A volte basta un incontro a illuminare un film; pur essendo al suo esordio Bareyre ha saputo cogliere l’attimo e dare un ritmo e una risonanza alla voce di questa giovane poetessa.