Un villaggio in Galizia (Amil, in Moraña) si prepara a festeggiare la tradizionale “Rapa das Bestas”, corrusca messa in scena popolare che ha origine nel mito di una lontana e scivolosa battaglia fra uomini e cavalli. L’ambiguo svolgersi dei simboli si perpetua nei rapporti famigliari, o meglio nel contesto oppressivo in cui Carme (un’incredibile e intensa María Vázquez) attende l’arrivo del fratello Luís. C’è un incidente di macchina mortale, un padre con cui è difficile anche solo parlare, una comunità dura, aspra. Battaglia si somma a battaglia, l’attaccamento alla terra si oppone al desiderio di fuga. Non c’è dubbio che sia questa la tipica intelaiatura di un film di Xacio Baño, qui al suo debutto nel lungometraggio e di cui Locarno ha già avuto la fortuna di presentare il corto Eco nel 2015 (Pardi di domani). Un autentico corpo a corpo fra i personaggi, una lotta livida carnale e oscura, che si riverbera nel corpo stesso del film, strutturato inquadratura dopo inquadratura, ombra dopo ombra, fra ellissi abissali e ruvidi scossoni, erotismo bruciante e sussulti del cuore. Baño non teme l’automatica forza documentaria della realtà, anzi la intensifica, mostrandone al tempo stesso l’illusione, la pura finzione, l’ineffabilità dei legami e degli eventi. Laddove tutto sembra sotto controllo, si accumulano invece le zone d’ombra, veri e propri buchi neri altrettanto fisici e materici. Il gioco fra ciò che non si dà a vedere e ciò che si rivela è spinto fino al punto di combustione dove è il lato selvaggio a prevalere – un fuoco salvifico, tuttavia, con cui Carme infine non teme più di bruciarsi.