Monsieur cinéma. Lui sì era il cinema, per davvero. Martedì, senza troppi titoli di coda, come un silenzioso buio in sala, se ne è andato a 94 anni Freddy Buache. Il cinema, per l’appunto. Non il cinema tout-court, chiaro, ma qualcuno che di cinema e per il cinema era fatto. Di Buache si potrebbero elencare - e lo faremo - emblematiche cariche prestigiose che ne hanno fatto un uomo del cinema. Ma quelle in realtà non sono state che la conseguenza dell’essere fatto di cinema. Buache era parole, immagini, visioni, lettere, programmazioni, lezioni, giudizi, osservazioni, versi, collezioni, battute, racconti. Tutto a 24 fotogrammi al secondo, in bianco nero o a colori, in pellicola. Con i baffi.
Freddy Buache era, è stato, anche il Locarno Film Festival. Diretto a quattro mani con Sandro Bianconi tra il 1967 e il 1970, Buache era allo stesso tempo un compagno di avventura e un Maestro, strada e meta. Il Festival lo riabbracciava appena poteva e nel 1998 fu una gioia vera, dovuta e attesa, consegnargli uno dei Pardi d’onore più intimi che la Piazza Grande abbia mai accolto e accompagnato. Nel 2015 tornò a Locarno in Freddy Buache - Le cinéma, del giurato Fabrice Aragno. Tre quarti d‘ora di passione sviscerata dagli archivi della Radio Télévision Suisse, della Cinémathèque e di Cinéma en tête, l’intervista girata della moglie e giornalista Marie-Magdeleine Brumagne per raccontare una giornata del direttore della Cinématèque.
Eletto un anno fa membro onorario della FIAF, Buache fu pioniere della Cinémathèque suisse, che accolse nel 1951, ancora in fasce, per lasciarla soltanto nel 1996, quale istituzione protagonista della cinefilia mondiale. Lasciando la presidenza, ma mai quella che a tutti gli effetti fu la sua famiglia, Buache chiuse mezzo secolo di una visione che si potrebbe definire in Cinemascope, tanto era vasto, ricco e profondo il suo sguardo. Lo sguardo della “generazione Langlois”, di una cineteca di pensiero prima che tecnica, un luogo di proposta, oltre che di archivio. Una cineteca che con lui al timone affrontò l’America e spalancò gli allora piccoli polmoni svizzeri con un respiro internazionale. Una cineteca a cui lasciò sessantacinquemila pellicole “impilate” in quasi mezzo secolo di direzione.
Al suo pensiero, alla sua mano e al suo volere, tradotti nella legge Federale sul cinema del 1963, il Paese deve la nascita del Nuovo Cinema Svizzero. E al suo sapere e alla sua penna si deve la prima storia del cinema svizzero (Le cinéma suisse, ed. L'Age d'Homme - 1974).
Freddy Buache, che ha vissuto il suo cinema scritto o parlato, ritrovato e custodito, insieme a quello degli amici Luis Buñuel, Miloš Forman o Theo Angelopoulos, è stato anche due lettere scritte sulla celluloide. La prima, datata 1982, fu Lettre à Freddy Buache, firmato Jean-Luc Godard. La risposta, la seconda lettera, arrivò 25 anni più tardi, nel 2007: Lettre à Jean-Luc Godard, firmata Favret in collaborazione con Aubergier, Costanzo e Richit. Con la sua voce, la voce di Freddy, la voce del cinema. Per ascoltarla, infiammata dalla passione e accentata dai baffi bianchi, bastava farsi trovare in sala il mercoledì pomeriggio. Lui era lì, puntuale, a raccontare a ragazzi di 15 anni chi fossero Louise Brooks o Greta Garbo. Mercoledì 29, invece, la lezione è saltata. Adieu Monsieur cinéma.