Se un mattino un principe-scimmia appare su una spiaggia, naufrago da chissà dove, quale scompiglio può nascere tra le scimmie indigene, convinte di essere le sole abitanti del pianeta?
Trovato dal giovane Tom, che parla con gli uccelli e subito decifra la lingua del viaggiatore, il principe Laurent viene portato in una colonia di ricercatori scacciati dalla comunità scientifica per aver tentato di dimostrare che esistono altre civiltà di primati. Mentre il professor Abervrach lo soprannomina «l’Altro» e prende a sottoporgli bizzarri esercizi per testarne l’intelligenza, il viaggiatore trova un alleato in Tom; con lui esplora la metropoli sfavillante di dei Nioukos, tra palazzi in stile Belle Époque e tranvie, cinematografi che proiettano la versione scimmiesca di King Kong e fabbriche che producono incessantemente beni, e dove la paura sembra il solo sentimento che permetta agli abitanti di sfuggire a una routine di lavoro perpetuo. Nel frattempo, intorno alla città la foresta incombe, ansiosa di riappropriarsi degli spazi che le sono stati sottratti.
Seguendo l’andamento lineare del diario di viaggio redatto dal protagonista, Le Voyage du prince, diretto da Jean-François Laguionie, maestro dell’animazione francese che già s’era spinto tra i primati con Scimmie come noi (1999), e Xavier Picard, ci presenta diversi modelli di società, lasciando agli spettatori il compito di tirare le somme: tra popoli di scimmie dediti al lavoro e al consumo, primati amanti dell’arte e comunità votate alla filosofia, il principe e Tom dovranno capire qual è il loro posto. Fiaba ecologica, etologica ed etnologica sorretta da un delicato gusto pittorico che spazia dai toni seppia della metropoli alle gradazioni di verde della foresta per giungere ai rosa delle terre di Laurent, Le Voyage du prince invita a aprire gli occhi e scoprire i mondi intorno a noi, anche quando viviamo in un contesto dove si vive nell’illusione che «non c’è un altrove».