News · 09 | 08 | 2019
News · 09 | 08 | 2019
Maternal – anche se in chiave narrativa – dialoga con l’analisi di un luogo tipica dell’approccio documentaristico. Come sei venuta a conoscenza di queste case per donne incinte senza alcun appoggio? Quando hai capito che il film sarebbe stato una finzione?
Partita da una ricerca sulle madri adolescenti, ho lavorato per quattro anni negli hogares di Buenos Aires con la volontà di conoscerne i codici, l'atmosfera, il peso dell'aria che vi si respira. Ho cercato di mimetizzarmi il più possibile per diventare “una di casa”. Né video, né foto, solo un taccuino per le osservazioni. Quando uscivo, nascevano dalla mia penna personaggi che portavano in sé, in una sorta di sintesi archetipica, le tante ragazze che popolavano la mia giornata. Su quel taccuino è nata la sceneggiatura: la finzione mi ha chiamata in maniera irrevocabile.
Da dove nasce il personaggio di Suor Paola, così lontano dallo stereotipo della suora al cinema? E come hai scelto Lidiya Liberman?
L’hogar era per me anche l’occasione di stare con le religiose: ho frequentato le preghiere, avuto accesso alle loro stanze e alle loro storie. La domanda sulla vocazione mi ha ossessionata per molto tempo: le risposte erano sempre impalpabili. Ho infine accettato il fatto che sia un segreto condiviso gelosamente dalle suore. Suor Paola nasce così, giovane donna che fa una scelta speciale e si presenta con la serenità di una certezza superiore, sobria e insieme magnetica, perché misteriosa. Nella fisicità che Lidiya porta davanti alla camera ho riconosciuto la possibilità di un lavoro a levare, creando un personaggio enigmatico che custodisce un segreto e una convinzione che la rendono inattaccabile, presupposto drammaturgico per raccontare l’impatto tragico dello sgretolarsi di tale sicurezza.
Come hai trovato le due giovani interpreti, che hanno due cariche emotive così differenti?
Ho disegnato due amiche opposte e complementari, che si amano, si odiano e si sono necessarie, come spesso nelle amicizie adolescenziali, amorose e totalizzanti. La ricerca di entrambe ha richiesto un processo lungo e non lineare, da un casting più classico fino agli hogares stessi. Ma quando le ho trovate, sapevo che avrebbero funzionato insieme, secondo una chimica inevitabile. Agustina e Denise si prendevano in giro al secondo giorno di prove e ora sono inseparabili.
Il film si tiene lontano da ogni giudizio, anche se affronta il tema spinoso delle gravidanze di minori in un paese dove l’aborto è ancora fuori legge. Succede grazie alla carica umana delle giovani protagoniste ma anche per le tue scelte di regia. Cosa ti ha guidato nel processo d’evoluzione del film?
Faccio film per curiosità umana, per approfondire degli interrogativi. Il giudizio nasce dalle certezze e nulla su cui io abbia già una risposta ha la forza di attrarmi.