Ha il tono di una favola il nuovo film di Sergio da Costa e Maya Kosa, uno di quei racconti in cui uomini, uccelli e topi condividono uno spazio per svelare qualcosa di misterioso della nostra società, ma con altre parole. In questo caso bisogna dire altre immagini, quelle che con cura sono state pensate e realizzate dai due registi, capaci di creare una narrazione grazie a un découpage preciso ed essenziale. Antonin è un ragazzo fragile, non ha mai lavorato in vita sua e l’impiego presso un centro di accoglienza per uccelli feriti e smarriti è l’unica occasione d’inserimento sociale che ha ricevuto. Prenderà il posto di un anziano, che ha trascorso lì gli ultimi anni che lo separavano dalla pensione dopo un brusco licenziamento. Alcune settimane insieme per imparare il lavoro e per dirsi addio. Attorno ai due ci sono gli uccelli nelle grandi voliere, chi è sofferente e chi è già pronto per partire, e i topi nelle gabbiette, nutrimento quotidiano per i volatili. Ma qual è il giusto equilibrio per mandare avanti questa piccola comunità di esclusi?
Seguendo il tono calmo del quotidiano apprendistato, il film si distacca progressivamente dal realismo per aprirsi a una dimensione astratta. Come già avveniva in Rio Corgo (il lungometraggio precedente del duo, del 2015), L’Île aux oiseaux lavora in profondità sull’immagine dell’altro, costruendo con sottigliezza una narrazione che si spalanca a molteplici letture, senza ridursi in nessuna, come succede alle più belle favole.