Il quebecchese Denis Côté ritorna a Locarno con la storia di un uomo che se ne va: l’ipnotico Wilcox, un film quasi senza parole che segue la fuga nella natura di un giovane in tenuta militare. Se i film sugli eremiti sono ormai quasi un genere a sé, che riempie i programmi dei festival con visionari mezzi pazzi che urlano all’apocalisse, Wilcox sorprende per la sua dolcezza, le sue coperte di feltro e i suoi bei colori autunnali. Denis Côté ci propone di incamminarci un attimo con un uomo che sembra allontanarsi dalla civiltà non perché la maledice o la rinnega dall’alto della sua arroganza delirante, ma semplicemente perché è troppo sensibile. Partendo dall’idea che non ci si avventura in terre selvagge per dimostrare di essere duri, Côté firma un film dotato di grande tenerezza, un diario di viaggio emotivo con lampi di genio degni del cinema muto. Volti espressionisti, case abbandonate e animali improbabili spingono la cronaca verso una visione placidamente surrealista, ma quello che rimane impresso di questo film bagnato dalla luce del tramonto è l’intimità che si crea con un Wilcox taciturno di cui non conosceremo né le ragioni né le speranze, ma di cui vedremo le lacrime e persino i sogni. Coprendo una grande semplicità narrativa con uno strato di mistero, Wilcox è uno di quei rari film che lasciano tutto lo spazio all’immaginazione dello spettatore.