Jean Vigo ai tropici. Dei mistons ancora più ai margini della società. Famiglie vessate dal duro lavoro in una piantagione di canna da zucchero, tormentate da vecchie credenze popolari e nuove paure. Rue Cases-Nègres (1983) è questo piccolo miracolo di cinema che riprende la realtà, e della realtà che si trasforma magicamente in cinema. E tutto questo grazie a lei, Euzhan Palcy, prima regista originaria della Martinica, che da quella minuscola isola partì diciassettenne alla volta di Parigi, con il sogno di imparare quel mestiere della messa in scena per immagini. Frequenta le aule della Sorbona, entra in contatto con la florida industria francese, ma decide che per il suo debutto sullo schermo deve intraprendere un viaggio di ritorno a casa. Raccontare gli ultimi, gli emarginati, i suoi fratelli e sorelle rimasti indietro. Con l’appoggio di un padrino celebre e sensibile al cinema d’infanzia e ai racconti “altri” come François Truffaut, Euzhan Palcy realizza il primo lungometraggio girato integralmente in quello sperduto piccolo territorio delle ex-colonie francesi, mescolando la lingua ufficiale col creolo, facendosi arcaica e primitiva nello sguardo.
In una Retrospettiva che vuole essere omnicomprensiva come Black Light, si recupera giustamente questo piccolo gioiello sommerso, ora finalmente ripescato e restaurato nello splendore del digitale, ricordando poi che Palcy dopo un tale sfolgorante debutto arrivò addirittura ad Hollywood, dirigendo Marlon Brando in Un’arida stagione bianca (1989), altra storia di integrazione dai rimandi coloniali.