Berna, gennaio 1981: mentre i giovani protestano nelle strade della capitale, il conduttore radiofonico Max Gfeller cerca di porre fine al tedio quotidiano in compagnia di una donna, Chrige, la quale lo invita a lasciarsi dietro tutto e dare alla sua vita un vero e proprio scossone. Ci riuscirà? È una domanda a cui Clemens Klopfenstein e Remo Legnazzi sembrano rispondere già dall’inizio di E Nachtlang Füürland, facendo un sapiente uso dei primi piani che illustrano l’esistenza claustrofobica di Max, nei locali della radio ma anche fuori, nelle vie cittadine, tra bar e animate discussioni nel cuore della notte. Una claustrofobia accentuata dalla scelta di girare in 16 millimetri, il che accresce anche l’immediatezza della carica polemica di un film che a distanza di quattro decenni rimane un ritratto caustico, intelligente e divertente delle disillusioni di una generazione alle prese con la propria vetustà. Max sogna di fuggire nella Terra del Fuoco, meta utopistica che dà al lungometraggio il suo titolo squisitamente Schwyzerdütsch, accentuandone l’identità elvetica pur non rinunciando alla qualità universale dei temi trattati. E se per Max e Chrige la Füürland forse rimarrà solo un sogno, per il pubblico è una spassosa e al contempo amara realtà, sin dal suo primo passaggio a Locarno nell’agosto del 1981.
Lorenzo Buccella