A portarci dentro la notte di Israele, dove la religione spesso nasconde violenze private, questa volta è il volto sorridente di eterno ragazzo, con una voce che non si lascia irretire. È lui, Menahem Lang, già attore in un paio di film di Amos Gitai, il protagonista del documentario M, che Yolande Zauberman fa vagabondare tra i quartieri ultra-ortodossi di Tel Aviv, senza mai riprenderlo alla luce del sole. Perché l’ambiente e il cuore del film non possono discostarsi da quel buio e da quelle ombre in cui vengono compiuti soprusi. Quelli che lo stesso Menahem stesso ha provato sulla propria pelle, essendo stato ripetutamente violentato da bambino da maestri e rabbini. Ma l’indagine che da lì parte non si riduce alla verità di una vendetta personale, proprio perché, pedinato dalla camera della regista, l’attore si muove alla ricerca di altre vittime, soprattutto quelle che non hanno trovato le forze per denunciare le violenze subite e affrontare di petto tutto l’ostracismo del contesto. Ma è proprio quella la molla che facendo emergere dal buio le vittime silenti, una dopo l’altra, trasforma una vicenda personale nel racconto di una terribile esperienza condivisa. E per Yolande Zauberman, che aveva già realizzato Would You Have Sex with an Arab?, diventa la strada per interrogare Israele sulla sua sessualità. Non soltanto tabù e pregiudizi, ma questa scoperchiando le colpe rimosse di un’intera comunità. Un atto di coraggio e al tempo stesso di compassione che colpì il Festival di Locarno, arrivando a conquistare conquistando il Premio speciale della Giuria.