Si scrive Jean-Luc Godard ma si pronuncia cinema. C’è un prima di Godard e poi tutto il resto. Griffith ha inventato il cinema, Godard ci ha fatto capire che Griffith è esistito. Oggi, dall’alto dei suoi magnifici novant’anni, tutta la storia del cinema può essere osservata nella sua parabola artistica, umana e politica. Che privilegio incredibile essere contemporanei di Jean-Luc Godard! Avere potuto vedere i suoi film impattare sul pubblico, trasformarlo, e dare immediatamente vita ad altre possibilità di cinema. Persino la qualità del silenzio che precede la proiezione di un lavoro di Godard è diversa da quello che precede qualsiasi altro film. Basti evocare la trepidazione con la quale è stato accolto il suo ultimo, magnifico Le livre d’image, prima che le immagini e il sorprendente lavoro sul sonoro ridefinissero ancora una volta la percezione di quel che si può ancora fare con le immagini in movimento.
Dagli albori della nouvelle vague, animato sempre da una capacità unica di assumersi rischi incurante sempre delle conseguenze, JLG – proprio come Miles Davis nella musica – ha sempre reinventato il cinema. Così facendo ha dato vita a un’opera-mondo che continua a essere esplorata e studiata da studiosi e cinefili con un’attenzione immutata.
Godard, oltre a essere tutto il cinema, ne incarna le aspirazioni più radicali di futuro. Pardo d’onore nel 1995, ha cercato incessantemente una possibilità di dialogo con le immagini e il mondo. In questo senso forse non è esagerato affermare che JLG è un rosselliniano. Lo anima il medesimo desiderio di ingaggiare costantemente un discorso con il cinema (anche se da premesse diverse da Rossellini) animato però dalla medesima lucidità anti nostalgica.
Godard è sempre stato nel presente delle cose del cinema. Pur avendo dato vita alla cinefilia (assieme ai giovani turchi della nouvelle vague), non ha mai rinunciato a esercitare un pensiero critico nei confronti delle immagini e della loro ideologia.
Non staremo qui a ricordare feticisticamente i suoi numerosi capolavori, capolavori che ha sempre rimesso in discussione. Preferiamo ricordare il suo acume politico, citando il più geniale film dell’anno della pandemia e del lockdown: la diretta Instagram realizzata da Lionel Baier nella casa di Rolle del regista. Masticando un sigaro e indossando un maglioncino verde senza maniche, divertito, giocando con la sua stessa immagine, rivelandosi fra le pieghe di un discorso che intreccia lingua e linguaggio, pittura e medicina, cinema e immagini, riscrivendo persino la storia della nouvelle vague, ha offerto una lezione di cinema indimenticabile. Una vera e propria critica dell’immagine, a partire dalla sua. Offrendosi per frammenti, dimostra di avere compreso come la fruizione contemporanea delle immagini ha modificato la nostra percezione del mondo. D’altronde, parafrasando quel che dice Hanna a Jerzy in Passion, “Il lavoro che mi chiedi è simile all’amore”.
E davvero, dovendo citare un solo film, come non citare quel capolavoro totale che è Je vous salue, Sarajevo? Due minuti soli, che bisognerebbe recitare a memoria. Almeno una volta al giorno. Per evitare di perdersi.
“Il y a la culture qui est de la règle. Il y a l’exception qui est de l’art. Tous disent la règle: cigarette, ordinateur, t-shirt, télévision, tourisme guerre. Personne en dit l'exception. Cela ne se dit pas, cela s’écrit: Flaubert, Dostoïevski; cela se compose: Gershwin, Mozart; cela se peint: Cezanne Vermeer; cela s’enregistre: Antonioni, Vigo ou cela se vit et c'est alors l'art de vivre: Sbrenica, Mostar, Sarajevo. Il est de la règle de vouloir la mort de l'exception. Il sera donc de la règle de l'Europe de la culture d'organiser la mort de l'art de vivre qui fleurit encore à nos pieds. Quand il faudra fermer le livre, ce sera sans regretter rien: j'ai vu tant de gens si mal vivre, et tant de gens, mourir si bien".
E d’altronde, come dimenticare? Anche Carmen muore. Chiede. Come si chiama quando in un angolo ci sono i colpevoli e nell’altro gli innocenti? Il cameriere non sa rispondere alla domanda. Scoprilo imbecille, intima lei. “Io non saprei come fare”. “Ma sì, quando la gente ha rovinato tutto, quando tutto è perduto, ma spunta il sole e l’aria diventa più respirabile”. “Questa si chiama l’aurora, signorina”.
Davvero: “forse non è utile comprendere. Basterebbe prendere”.
Joyeux anniversaire, caro Godard.
Giona A. Nazzaro