Non c’è dubbio. Senza Roger Corman il cinema non sarebbe il cinema. Dall’alto dei suoi 95 anni appena celebrati ne ha viste di tutti i tipi. E la sua lezione (meglio le sue “lezioni”…) è un monito per tutti coloro che periodicamente piangono la morte del cinema. Corman ha letteralmente inventato il cinema. Ha inventato i giovani. Ha creato un soggetto sociale e politico che prima non c’era. I suoi film a bassissimo costo, dai magnifici titoli roboanti, promettevano emozioni “mai viste”, proibite. Emozioni a basso costo, replicabili. Solo per giovani. Insomma, con una boutade: Corman sta al cinema hollywoodiano come il punk al progressive britannico. E poi: Corman permetteva ai suoi allievi di fare un film anche se sino al giorno prima si occupavano di smistare la posta. Un’intera generazione ha colto l’occasione al volo: Francis Ford Coppola, Peter Bogdanovich, Ron Howard, Jonathan Demme, John Sayles, Denis Hopper, Martin Scorsese, Sara Driver, John Milius, Penelope Spheeris, Jonathan Kaplan, Carl Franklin, Jack Hill, Sylvester Stallone, Gale Ann Hurd, James Cameron, Paul Bartel, Monte Hellman, Lewis Teague, Allan Arkush, Jack Nicholson, Vernon Zimmerman decine e decine di altri nomi.
Lo sguardo infallibile di Corman giunge pure in Svizzera dove intreccia il suo cammino con il leggendario Erwin C. Dietrich per l’indimenticabile film di culto di Ingrid Steeger, Ich, ein Groupie fotografato dal grande Peter Baumgartner. La lezione sovversiva di Corman si fa sentire anche in Brasile, dove è accolta con entusiasmo da Glauber Rocha, che ne comprende la libertà e il sottotesto politico, e da José Mojica Marins, ovvero Zé do caixao. In Spagna è Jacinto Molina, ossia Paul Naschy, a reinventare il suo cinema a basso costo. Roger Corman, uomo raffinato e coltissimo, come ha potuto verificare il pubblico del Locarno Film Festival nel corso di una entusiasmante masterclass, è un uomo di cinema senza preclusioni (e che racconta delle storie magnifiche su Cirio H. Santiago, Eddie Romero e Gerry de Leon). Uomo d’affari dalla sapienza pragmatica e bizantina, rispettoso della libertà creativa dei suoi autori a patto che rispettassero pochissime regole che funzionavano come marchio di fabbrica (l’inevitabile doccia era una di queste), vanta una filmografia che è una mappa delle metamorfosi psichiche di un sentire collettivo stretto fra guerra del Vietnam, scandalo Watergate, lotta per i diritti civili, Woodstock e relativo crollo delle utopie hippie.
I suoi film del ciclo Poe sono ancora oggi manuali di testo per chiunque si avvicini al cinema gotico (chiedere a Tim Burton); i film dell’era AIP sono assurti, in blocco, a classici del Nuovo Cinema Americano. Cosa sarebbe il cinema statunitense senza Il serpente di fuoco o I selvaggi? Chi ha diretto un film più disincantato sulla guerra de Il barone rosso? E, soprattutto, chi avrebbe mai osato fare un film come L’odio esplode a Dallas negli Stati Uniti del 1961, quando i Freedom Riders venivano aggrediti e ammazzati per strada nel Sud, nell’anno dell’Executive Order 10925 voluto da J.F. Kennedy per le pari opportunità e ben quattro anni prima del Voting Rights Act? Roger Corman è semplicemente tutto il cinema del mondo. Senza di lui non ci sarebbe il cinema. E oggi, quando si levano, ancora una volta i lamenti di piange la morte del cinema, fermiamoci un attimo a riflettere: cosa avrebbe fatto Corman? O meglio: cosa sta facendo Roger Corman? Lui è sicuramente già avanti di un altro passo. Ed è proprio questa la sua lezione fondamentale. Roger Corman, come il cinema, non si ferma mai.
Giona A. Nazzaro