Scritto, girato e completato in meno di quattro mesi in piena pandemia, Vortex è il lungometraggio più recente del regista francese Gaspar Noé (Seul contre tous (1998), Irréversible (2002), Enter the Void (2009), Love (2015), Climax (2018), Lux Aeterna (2019)) Come molti dei suoi film precedenti, è stato presentato a Cannes, poche settimane fa a Cannes.
Inizia con una dedica a “coloro la cui mente imploderà prima del cuore”. Françoise Hardy canta Bellay, invitandoci con leggerezza a fare i conti con la nostra mortalità.
Ci avviciniamo all’intimità quotidiana, a volte degradante, spesso tenera, ma anche dura, di una vecchia coppia parigina: lui è un critico e storico del cinema interpretato da Dario Argento, lei una psichiatra interpretata da Françoise Lebrun.
Questo film commovente si avvale soprattutto di questi magnifici interpreti e delle loro improvvisazioni attraverso multipli ciak con due macchine da presa.
Lui sta scrivendo un libro sul cinema e i sogni, intitolato Psiche, mentre lei soffre di Alzheimer, si perde per strada e nelle proprie parole, e si scrive le ricette da sola.
Il loro appartamento labirintico e stracolmo è un personaggio a sé, che rappresenta tutte le sfaccettature della loro relazione. Poster di anni di attivismo politico affiancano quelli dei film di Fritz Lang e Godard.
Il film parla di coraggio, dell’accettazione della morte e dell’assistere alla morte dell’altra persona.
Il loro unico figlio, interpretato da Alex Lutz, fa fatica con le parole, mentre lotta contro la tossicodipendenza e le sue responsabilità nei confronti dei genitori e del proprio figlio. Fa un tentativo di riconciliazione nell’unica scena in cui lo split screen, come dei tunnel paralleli, crea una singola immagine. È quando sentiamo: “Questa è la prima volta che apriamo le nostre anime.”
Mathilde Henrot