Jabir, Usama e Uzeir sono ancora dei bambini quando il padre Ibrahim, un predicatore islamista severo e radicale, è condannato a due anni di carcere per affiliazione terroristica: li lascerà da soli, dando a ognuno un compito a cui attenersi.
Il primogenito, che ha da poco raggiunto i diciott’anni, si trova repentinamente nel ruolo di capofamiglia e deve far fronte all’improvvisa libertà foriera per tutti dei turbamenti dell’età incerta.
Con estremo rigore e senso di responsabilità, il giovane regista Francesco Montagner ha accompagnato i tre ragazzi in un momento difficile, componendo con pazienza e costanza un film sulla comunità salafita nell’entroterra bosniaco.
Brotherhood è un ritratto tanto topograficamente preciso quanto narrativamente lirico, concentrato su scene che raccontano di un passaggio verso l’età adulta e un’assunzione delle proprie responsabilità nello scegliere il futuro.
Il fascino delle immagini, in cui il gregge di proprietà della famiglia acquista da subito una portata simbolica, è sempre connesso all’elaborazione di un racconto di formazione, che si muove con fluidità tra la dimensione sospesa del pascolo (e dei rapporti fraterni) e quella concreta della città (e dei rapporti sociali).
Stretti in una morsa di doveri e aspettative, i tre fratelli diventano, con i loro corpi in continua crescita, l’incarnazione dei conflitti di un’Europa in rapido mutamento.
Daniela Persico