Dare un pubblico ai film. Una delle missioni di un festival, e quindi anche di Locarno, è quello di realizzare l’obiettivo per cui un film viene pensato, scritto e girato: mostrarlo. Quindi, con un programma, una prima mondiale o una seconda visione, farlo conoscere, svelarlo, sostenerlo con uno schermo e portarlo agli occhi del pubblico. Ad esempio le decine di migliaia di spettatori che ogni estate, per undici giorni, vivono e popolano Locarno. E così è stato anche nel 2020, quando Locarno è rimasto senza Piazza, con pochi schermi accesi e il pubblico in larga parte costretto a casa. Un momento imprevedibile e critico, in cui però era a maggior ragione importante esserci, non interrompere quel flusso di immagini e visioni. Nacque così The Films After Tomorrow, il concorso dedicato ai film “sospesi dalla pandemia”. Film non ancora film, che quella volta avevano bisogno di qualcosa in più di un pubblico.
Tra i tanti progetti che arrivarono c’era Zahorì di Marì Alessandrini, inchiodato dalla pandemia alle prime fasi della post-produzione, che poi vinse il Pardo 2020 per la selezione svizzera. C’era Unrueh di Cyril Schäublin, congelato dal lockdown a un passo delle riprese. C’era Drii Winter (all’epoca con il titolo di lavoro Ein Stück Himmel) di Michael Koch, che di set visse appena dieci giorni, prima di essere fermato. C’era Olga, di Elie Grappe, fermato al diciannovesimo giorno di ciak. Oggi questi quattro film, e non sono che quattro esempi tra venti, stanno vivendo il loro “after tomorrow”. Zhaorì in autunno ha riempito le sale della Svizzera rimanda, Olga è stato scelto per rappresentare la Svizzera agli Oscar, Dii Winter e Unrueh hanno da poco conquistato la Berlinale con una Menzione speciale nel concorso principale e la Miglior regia nel concorso Encounters. Ecco, tutto qua. Ecco il segreto, la missione o semplicemente la nostra natura: esserci. Per i film, per gli autori e le autrici, per il pubblico. Per il cinema.