In un momento in cui i festival di tutto il mondo ripensano le loro strategie per affrontare gli scenari mediatici futuri, infatti, la ricerca e il dibattito divengono strumenti fondamentali per comprendere il quadro generale e ipotizzare nuove possibilità di sviluppo. E questa riflessione non poteva che prendere avvio dal fattore che più ha contribuito a rimodellare l’industria cinematografica in questi anni: lo streaming online.
Mono o policoltura? Che cos’è Netflix a 25 anni di distanza dal suo esordio? Come si rapporta all’industria cinematografica? Come l’ha cambiata? Che pubblico ha generato? Come guardiamo la piattaforma? E che rapporto ha intessuto finora con i festival? Tante le domande affrontate da Kevin B. Lee in un appuntamento differente da quanto proposto sinora dal Locarno Film Festival, ma al centro del suo orizzonte.
Il Professor for the Future of Cinema and Audiovisual Arts all’USI (Università della Svizzera italiana) ha tenuto una lezione nel cuore del Locarno Film Festival: una sala cinematografica. Il luogo ideale in cui affrontare la riflessione sul futuro degli eventi cinematografici e sull’evoluzione dell’audiovisivo a cui è dedicato il nuovo corso universitario tenuto da Lee all’USI, un corso unico nel suo genere e costruito insieme al Locarno Film Festival, con il supporto di Swisscom. Puntando da sempre al futuro e all’innovazione, il Festival ha deciso di far incontrare il mondo accademico e quello dei grandi eventi, da una parte per nutrire le proprie strategie di sviluppo, dall’altra per ampliare il campo della ricerca universitaria. Tutto questo con il coinvolgimento di studenti e studentesse e di giovani del territorio.
Cinema in the Age of Netflix è stata dunque per Lee una lezione “fuori sede”, subito sold out per l’ampia e trasversale partecipazione di pubblico. Un’ora di riflessioni a tu per tu con la piattaforma che ha rivoluzionato l’universo audiovisivo, le abitudini e l’atteggiamento del pubblico, e verso cui anche i festival hanno iniziato a guardare. Per capire il presente e immaginare un futuro che sta già andando in quella direzione, ma con la certezza che questa non sarà l’unica strada possibile.
In ambito agrario si parla di monocoltura e policoltura: nel primo caso, limitandosi a un’unica coltura, è possibile produrre rapidamente, ma si finisce con il danneggiare il terreno e ottenere risultati di scarsa qualità; nel secondo caso, invece, riproducendo la diversità dell’ecosistema naturale con un maggior dispendio di lavoro, si salvaguardano la salute della terra e la qualità delle colture. I festival sono paragonabili a una policoltura, a uno spazio che lavora e trae la sua ricchezza dalla diversità. E Netflix?
Netflix è una società quotata in borsa da quasi 20 anni (dal 23 maggio 2002). Nel 2020, con la pandemia, ha raggiunto la vetta assoluta del proprio valore sul mercato, ma nei due anni successivi è tornata ai livelli pre-pandemici. È il segnale di un desiderato ritorno in sala del pubblico?
Tre sono i grandi effetti che Netflix ha avuto sull’industria del cinema e sul pubblico:
Parallelamente, il successo di Netflix è attribuibile a quattro fattori: l’ascesa di internet negli ultimi vent’anni e il miglioramento della connettività, che ha agevolato lo streaming; la possibilità di analizzare i dati relativi agli spettatori per comprendere cosa funzioni sulla piattaforma; l’investimento in produzioni proprie, senza dover pagare licenze a studios e canali televisivi; la pandemia, che ha reso Netflix la monocoltura durante il periodo di chiusura dei cinema.
Lo streaming può essere considerato una monocoltura, ma al suo interno in realtà vi è una maggiore diversità, con altre piattaforme che hanno messo alla prova il dominio di Netflix sul mercato. Disney+, ad esempio, ha già accumulato in due anni il numero di abbonati nel mondo che Netflix contava dopo otto anni di attività.
Netflix indubbiamente si presenta come una policoltura, con un catalogo internazionale e una maggiore libertà concessa ai registi, a differenza dell’ambiente più restrittivo del cinema mainstream hollywoodiano, per esempio. Ma si avvicina anche alla monocoltura per via dell’algoritmo, che propone titoli da vedere sulla base dei gusti dell’abbonato, immaginando a monte che il film o la serie piacerà, e togliendo così la possibilità della scoperta.
La riflessione, poi, investe il pubblico. Come guardiamo Netflix? Che ruolo ha la piattaforma nella nostra quotidianità? Ci guida o ci accompagna? È scelta o sottofondo? È una proposta o uno stratagemma con cui vincere il sonno? È quel che decidiamo di guardare o il tempo che passiamo a guardarlo? E il cinema, per contro, non dovrebbe essere immagini, emozioni, sensazioni che rimangono impresse nella nostra memoria?
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