News · 31 | 03 | 2022
News · 31 | 03 | 2022
Sarò in grado di aiutarli? A sentire i ragazzi, ad esempio Davide e Matilde, assolutamente sì, ma nel corso delle prime ore della Spring Academy, iniziata durante le giornate della nona edizione de L’immagine e la parola, Michelangelo Frammartino se l’è chiesto. Il regista e autore italiano, mentore dei sei ragazzi e delle sei ragazze protagonisti del workshop che per dieci giorni li ha immersi nel cinema e nel Ticino, si è chiesto se fosse in grado di affiancare tanto talento. «Mi sono trovato di fronte a autori già compiuti, maturi, capaci di emozionarmi - racconta il regista de Il buco - che mi raccontavano i loro progetti così intensi e pieni; alcuni mi hanno sinceramente colpito. E mi sono chiesto: sarò in grado di aiutarli?».
Partiamo dalla fine. Cosa è rimasto della Spring Academy?
«Tutte le energie e il tanto entusiasmo che mi sono portato a casa. Ha vibrato per giorni. Tutto è scoccato dall’inaspettata accoglienza de L’immagine e la parola; confidandomi con un’amica le dicevo che non mi era mai capitato di sentirmi così importante (sorride, ndr). Poi è iniziata l’avventura con i ragazzi e le ragazze, il cui impegno è stato totale».
Non facile, da autore affermato, affiancare registi che si stanno costruendo, con progetti forse acerbi, riuscendo a mantenere la giusta distanza.
«È un equilibrio difficilissimo. Essere filmmaker porta già a doverti confrontare continuamente con altri e con altre professioni, basti pensare alla fase del montaggio. Quando poi qualcuno chiede la tua opinione, il tuo sguardo, cerchi sempre di dire qualcosa di intelligente, ma non è detto che sia utile al progetto, a quel progetto. Il primo passo, fondamentale, è quello di farne uno indietro: mettersi al servizio di un’idea di cinema, di uno sguardo, che possono non coincidere con il tuo, ma che devono restare tali, fedeli a sé stessi. È un lavoro in levare, in cui devi saper mettere da parte te stesso e le tue convinzioni, e accogliere le loro. Devi saper essere spettatore, tecnico e spalla. Mai autore».
Un’esperienza formativa anche per chi la conduce, dunque.
«È una parte importante del mio percorso, a cui tengo molto e a cui mi dedico molto tra Milano, Torino, università e accademie. Quel passo indietro è davvero difficile da muovere, all’inizio credevo di essere in gamba e dare consigli interessanti, poi ho capito che serviva altro; che si è di fronte a lavori che stanno ancora oscillando, alla ricerca della loro forma, e che bisogna essere molto umili e attenti nell’affiancarli».
Come vi ha accolto il Ticino “terra per il cinema”?
«La placida Locarno che ad agosto ti accoglie e coccola d’inverno ti spiazza; temevo che un territorio così “diverso” potesse spiazzare i ragazzi e le ragazze, invece hanno saputo esercitare lo sguardo, lo hanno aguzzato trovando sia in città sia nelle valli un Ticino molto interessante. Mi hanno dimostrato di essere anche bravi detective».
Curioso di scoprire i 12 film finiti durante Locarno75?
«Mi hanno già conquistato strada facendo. Mi sono emozionato anche là dove dubitavo dell’idea, che invece poi si è compiuta. Tra i sei ragazzi e le sei ragazze ci sono filmmakers di spessore, capaci di alcune soluzioni che mi hanno letteralmente sbalordito; spesso ero io ad ascoltarli, non viceversa. Ora dipende da loro, ma anche da noi; dai festival, dagli addetti ai lavori: dobbiamo permettergli di riuscire. Ma ve l’assicuro: ho percepito un talento autentico che io, ad esempio, sono certo di non avere».