Come nasce Piano Piano, la storia di un cortile e dei suoi abitanti nella Napoli degli anni ’80?
Il seme è stato seminato dieci anni fa con Antonia Truppo, che è la mia compagna. Durante le prime chiacchiere da fidanzati lei mi ha raccontato che abitava in una sorta di masseria minacciata da un ponte che doveva collegare Capodichino con il centro. Mi sono subito detto che sarebbe stata l’idea giusta per il mio primo film. Mi sembrava il contenitore adatto per inserirci ricordi d’infanzia, raccontare la preadolescenza attraverso archetipi di varia natura, come il rapporto fra padri e figli. Cose che nella mia vita sono avvenute proprio in quegli anni ’80, o subito dopo.
Dove nasce Anna, la tredicenne protagonista?
Il personaggio è ispirato alla storia di Antonia. Nell’idea originale, che mi è sempre piaciuta molto, la protagonista era una donna, anche per non renderla troppo autobiografica e mantenere un confine dal punto di vista drammaturgico. Ho trasformato alcuni ricordi e sensazioni al femminile.
Perché ha scelto Dominique Donnarumma per il ruolo di Anna?
È stata una delle prime ragazze provinate, appena dopo il rallentamento della pandemia, tanto tempo fa. Mi ha subito folgorato per il suo viso, gli occhi chiari. Volevo una principessa diversa dai colori scuri del cortile. Ha un’altra fisicità, una dolcezza innata. Alla sua età si cambia molto velocemente, ha avuto una crescita veloce, proprio come accade al suo personaggio, in sole tre settimane. Nel tempo ha sviluppato una forma di sensualità, se posso usare questo termine, sospesa fra la bambina e la donna. Ha perfettamente incarnato il cuore del film.
La dimensione del cortile è un palcoscenico tipico di Napoli, in cui tutti sanno di tutti.
Il palcoscenico come allegoria della vita mi piaceva, sembrava un buon ring all’interno del quale debuttare, mi sentivo a mio agio. A Napoli, ma in tante città “vecchia maniera”, questa realtà di case una vicina all’altra crea interazioni particolari, diventati ricordi autobiografici: un vicino che fa rumore la notte o qualcuno sempre con la radio ad alto volume. Nel film sono le cronache delle partite di calcio che fanno da avvolgente accompagnamento di interi pomeriggi. Una specie di audio surround ante litteram.
Piano Piano è anche un film di volti, con una scelta accurata dai protagonisti alle comparse.
È una mia malattia, avendo fatto tanta pubblicità a medio e basso budget. Non sopporto vedere quando le figurazioni sono scelte e vestite male, prese a gruppi, per cui abbiamo scelto faccia per faccia, anche se ammetto che a Napoli è facile: c’è molta offerta e sono tutti ancora veraci, non “rovinati” dal sistema cinema. I ragazzini sono tutti di una Scuola calcio del quartiere. Poi ci sono attori come Lello Arena, il boss, Antonio De Matteo, Massimiliano Caiazzo, una grande sorpresa, il bravissimo predestinato Giuseppe Pirozzi. Un cast imperiale.
Un elemento cruciale è quello della fuga da questo ambiente, che per i ragazzi diventa soffocante.
È l’allegoria del guscio della preadolescenza, trasposto in tante vertebre del racconto, da cui si riesce ad uscire per poi sbocciare. Infatti, il finale ha una funzione catartica, con tanto di festa e fiamme. L’idea era di fuggire attraverso un utero che aprisse la strada verso un Eden. Un paradiso contaminato da un mostro che avanza e un personaggio misterioso che diventa un mentore, il vertice di una crescita. Volevo costruire confini molto netti. Trovo sia una storia realista, ma anche una fiaba.
Mauro Donzelli