«Nação valente, imortal».” «“Nazione coraggiosa, immortale».” Il regista portoghese Carlos Conceição ha preso in prestito il titolo originale del suo nuovo lungometraggio dalla seconda riga dell’inno nazionale del suo paese, tralasciando “immortale” – anche se “non morto” sarebbe forse più adatto. Il brano patriottico incita alle armi (come i tommy guns del titolo inglese) e a combattere fieramente per lo splendore della madrepatria «“sobre a terra, sobre o mar»”: sulla terraferma e sul mare.
Ed è al di là del mare, in Angola, che ci trasporta il film. Siamo nel 1974, poco prima dell’indipendenza del paese dal suo occupatore europeo dopo anni di conflitto armato. I gruppi locali stanno iniziando a sovrastare l’esercito e i missionari portoghesi, e i morti appaiono irrequieti sottoterra.
Dopo un’apertura in mezzo agli scontri, si passa a un uomo nero che cerca di scappare dall’esercito portoghese per cui lavora, ma un colonnello adirato lo cattura e ordina spietatamente al caporale José (João Arrais), dalle fattezze infantili, di sparargli. Ora siamo nelle baracche, dove il folle colonnello addestra un gruppo peculiare di giovani soldati. Alcuni desiderano scappare dal vasto territorio che sorvegliano, ma un enorme muro di cemento con del filo spinato in cimanema rende impossibile ogni partenza. Non è per chiuderli dentro, insiste l’oppressiva figura paterna, ma per proteggerli tenendo fuori il nemico.
Conceição ritorna a Locarno, dove nove anni fa il suo corto Versailles fu selezionato nei Pardi di domani, dopo aver presentato il suo primo lungometraggio Serpentarius al Forum della Berlinale nel 2019. Con la sua opera seconda il regista di origine angolana riflette sulla Storia imperialista del Portogallo e sugli echi odierni del colonialismo. Il passato ci tormenterà se non impariamo le lezioni e il progresso, sembra volerci dire. Non per forza come ricerca della vendetta (ma la giustizia sarebbe più che benvenuta), ma come tentativo di avvertimento, per impedirci di perpetuare e giustificare le strutture totalitarie a causa di cecità e ignoranza.
La fotografia di Vasco Viana e il montaggio di António Gonçalves creano l’incredibile atmosfera e ritmo che spingono il film mentre esso cresce gradualmente sul piano narrativo e dell’intensità. I puntini cominciano a connettersi, e le crepe ad aprirsi. Il film, in corsa per il Pardo d’oro, mette a nudo il (non) senso e la minaccia permanente della guerra – mantenendola però soprattutto fuori campo, avvalendosi di una lunga tradizione di pellicole su eserciti sotto l’influenza di tiranni deliranti… e dei film di zombie.
Pamela Biénzobas