«Considera la sottigliezza del mare; come le sue creature più temute scivolano sott’acqua, per lo più invisibili, e subdolamente nascoste sotto le più belle sfumature di azzurro», scrisse Herman Melville in Moby Dick, il suo peana al potere del mare. Melville non è tra gli autori citati dai personaggi del secondo lungometraggio di Helena Wittmann, Human Flowers of Flesh (tra questi ci sono Marguerite Duras e Friedrich Glauser), ma la devastante bellezza delle acque blu del film è in effetti ingannevole, e nasconde non veri e propri mostri ma storie di dolore.
Una delle prime immagini sembra essere una promessa di avventura: in una panoramica mozzafiato di una scogliera calcarea lungo l'acqua, un gruppo di escursionisti si dirige verso un veliero ancorato in lontananza. Scopriamo presto che la donna che li guida si chiama Ida (Angeliki Papoulia), ma non la sentiamo parlare. Osserva e ascolta coloro che la circondano, che condividono storie che hanno il sapore di leggende. Anche quando qualcuno parla di Ida, suona come un personaggio mitico: «C'è una barca a Marsiglia. Di proprietà di una donna. Vive lì con il suo equipaggio... Non si sa molto di lei. Immagino la sua vita molto libera, sempre in movimento».
Sebbene Ida si imbarchi in una ricerca, il film è attraversato da una malinconia che smentisce il fascino e gli inganni del romanticismo. A bordo della nave l'equipaggio parla francese, italiano, portoghese, greco, arabo; fanno scalo in diversi porti del Mediterraneo, ma la natura – ripresa da Wittmann in immagini sontuose e sensuali (16mm) – rimane costante, rendendo difficile distinguere i luoghi. Questa fluidità contraddice la realtà dei confini nazionali e, evidenziandone l'artificialità, spinge a riflettere sulle innumerevoli vite rischiate e perse a causa di queste separazioni, in queste acque e altrove.
Ida continua a visitare le basi sorvegliate dai membri della Legione Straniera francese. Cosa c'è negli uomini in uniforme che l'affascina così tanto? Anche la Legione è multietnica e poliglotta, ma la sua immagine e la sua storia sono irremovibili dalla violenza del colonialismo. La sua stessa esistenza è anacronistica, così come il mito maschile che rappresenta, eppure entrambi persistono. Quando la ricerca di Ida alla fine la porta a un legionario interpretato da Denis Lavant – che notoriamente ha avuto lo stesso ruolo nel capolavoro di Claire Denis del 1999 Beau travail, un'opera estremamente influente per i registi della generazione di Wittmann – Human Flowers of Flesh diventa esplicitamente auto-interrogativo. Se Ida può essere letta come una alter ego della regista, cosa dobbiamo pensare della sua reazione quando finalmente si trova faccia a faccia con l'oggetto del suo desiderio?
Giovanni Marchini Camia
Curiosità
Il viaggio di Helena Wittmann nel lungometraggio è cominciato nel 2017 alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia, con Drift.