Mantas Kvedaravičius aveva deciso di tornare a Mariupol – dove aveva realizzato un film – per raccontare le condizioni delle persone prese nella tenaglia della morsa dell’assedio russo. Lituano, si era fatto notare con un pugno di film accolti con grande favore nei festival in tutto il mondo. La notizia della sua morte, dapprima avvolta in una serie di notizie contrastanti, è stato uno degli shock più violenti della guerra portata dai russi in Ucraina. Prologos è un film inedito, quasi uno studio documentario per il suo magnifico Parthenon (in uno scambio lo definiva un prequel), film che aveva presentato alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia. Il film dimostra lo sguardo straordinario di Mantas Kvedaravičius. Un mondo industriale ridotto ai suoi scheletri, popolato da rifugiati, mentre quanti fuggono dalla guerra in Siria arrivano alle porte dell’Europa. Un mondo nel quale risuonano voci misteriose, ancestrali. Un diario della fine, colto con precisione sia umanista che da entomologo nel quale il mondo è filmato con commozione profonda, con la consapevolezza di chi sa che forse il mondo lo sta vedendo prima della sua scomparsa definitiva. Raramente la testimonianza filmata ha raggiunto tali livelli di empatia con l’oggetto osservato. Lo sguardo di Mantas Kvedaravičius raggiunge punti di stupore attonito, vertiginoso, senza per questo cedere nemmeno un’oncia di lucidità. Le immagini di Prologos sono fra le più potenti del cinema contemporaneo. Potere presentare questo film come omaggio a Mantas Kvedaravičius, strappato ai suoi cari e al cinema dalla guerra imperialista russa, è un omaggio dovuto a un regista, a un autore, la cui strada abbiamo avuto il privilegio di incrociare per un breve momento. E, se il cinema, come diceva Serge Daney «esiste soltanto per far ritornare ciò che è già stato visto una volta – visto bene, visto male, non visto». Prologos contiene tutti i discorsi che il cinema deve ancora fare. E che adesso, dopo la tragica e inaccettabile morte di Mantas Kvedaravičius, diventa ancora più urgente fare.
Giona A. Nazzaro