Una giornata iniziata all’insegna della normalità, assolata e insolitamente tiepida per la Parigi di fine autunno. Il 13 novembre 2015 la vita della capitale francese (e non solo) è cambiata, segnando la divisione fra un prima e un dopo gli attentati che hanno provocato 137 morti. Uno di quei giorni in cui è inevitabile ricordare dove ci si trovava. Il Bataclan è diventato un simbolo, non più solo una sala di concerti. Antoine Leiris ha perso la moglie in quel luogo, reagendo nelle ore successive con un post su Facebook, in cui si rivolgeva ai terroristi dicendo che non avrebbe concesso loro il suo odio. Parole commoventi, arrivate come pronta risposta all’insegna di una resilienza virtuosa, in nome del figlio di 17 mesi, Melvil, diventate presto un libro e ora un film diretto dal tedesco Kilian Riedhof. Un controcampo intimo, attento al visibile e al non visibile, su un uomo che ha dato forza a sopravvissuti, parenti delle vittime e comuni cittadini, che scava nel privato nascosto, alla ricerca di un’impossibile nuova normalità, aggrappandosi, per mettere a tacere la sua disperazione, alla continua esplorazione del mondo di un’anima pura come il piccolo Melvil.
Vous n’aurez pas ma haine racconta la giornata degli attentati, dall’ordinaria vita della giovane famiglia all’arrivo dei primi messaggi preoccupati di chi iniziava a sapere della presa di ostaggi al Bataclan dove la moglie, Hélène, era andata con un amico per godersi un concerto tanto atteso. Ma è soprattutto il dopo a essere al centro della narrazione: il telefono che squilla a vuoto, il giro degli ospedali, le prime fasi dell’elaborazione del lutto. Dalla chiusura in un dolore solitario, ai primi tentativi di interagire, prima con i familiari più stretti, e poi con i Media e le tante persone che da ogni angolo del mondo si erano commosse per le parole di Antoine.
Un viaggio in due, «più forti di tutte le armate del mondo», come ha scritto di getto un uomo comune capace di trovare le parole giuste. In un mondo che in questi ultimi anni ha accelerato la capacità di digerire ogni disgrazia, in cui il flusso delle notizie sembra inarrestabile, questo racconto si concede il tempo di un dolore imbevuto di umanità, di analizzarlo da ogni punto di vista, senza giudizi morali o facili scorciatoie. Ma si concede anche la speranza per il futuro, nonostante tutto, visto che «Per tutta la sua vita questo bambino vi farà l’affronto di essere felice e libero. Perché no, non avrete nemmeno il suo odio».
Mauro Donzelli