«È un bel riconoscimento dopo cinque anni di lavoro», ci dice la regista Christina Tynkevych, il cui lungometraggio d’esordio ha vinto due premi nella sezione Concorso Cineasti del presente. Un film sulle vicende tormentate di una madre single alle prese con le conseguenze di un terribile incidente, a cui Tynkevych ha iniziato a lavorare nel 2017, e che è arrivato sullo schermo in una versione un po’ diversa da quella immaginata nelle prime fasi: «Il titolo, Yak Tam Katia? (How Is Katia?), viene da una prima stesura del copione che raccontava la vicenda da due punti di vista e aveva un esito diverso per il personaggio della figlia. Alla fine, abbiamo tenuto quel titolo perché un film è come un figlio, non è facile cambiargli il nome». E tra la preproduzione e il debutto a Locarno il lungometraggio ha assunto una connotazione diversa, alla luce di ciò che sta accadendo in Ucraina. «Quando l’abbiamo girato non immaginavamo che sarebbe scoppiata la guerra attualmente in corso», spiega Tynkevych. «Alla prima del film molti hanno colto questo aspetto: non è più solo la storia di una madre che perde la figlia, è un film su tutti gli ucraini che hanno perso i loro cari negli ultimi tempi». Data l’attualità legata al suo Paese, vincere questo premio è un atto di resistenza, la dimostrazione che la cultura ucraina è ancora viva? La regista ha le idee chiare: «Assolutamente sì. La cultura è un’arma, uno strumento prezioso. Ne abbiamo parlato a lungo, all’interno dell’industria cinematografica nostrana, di come comportarci sul piano internazionale. Siamo arrivati alla conclusione che la cosa più importante da fare non è boicottare la cultura russa, bensì mettere in risalto la nostra, far vedere che ci siamo». Una filosofia che si rispecchia idealmente nel successo festivaliero della potente storia di Anna, affetta da dilemmi morali quando si rende conto che la vita non è facilmente classificabile in base a ciò che è bene o male. Dilemmi liberamente basati su una storia vera, come ci ha spiegato la cineasta: “L’ispirazione per il progetto è venuta da un fatto di cronaca, un paramedico che doveva decidere se salvare o meno l’uomo che l’aveva stuprata. Abbiamo modificato la premessa per parlare di un rapporto madre-figlia, e ho scritto il film pensando ad Anastasia Karpenko, con cui avevo già girato un cortometraggio, perché sapevo che volevo lavorare nuovamente con lei. Sono felice che anche lei abbia vinto un premio, perché non sai mai quando arriverà la parte che ti cambia la vita.”
Max Borg