Difficile trovare le parole giuste quando viene a mancare una parte così importante della storia del cinema. Gina Lollobrigida ha incarnato un’idea del cinema italiano. Nel suo apparire s’inscrive – profondamente – la storia della nostra cinematografia e del suo andare incontro a un’idea di modernità da protagonista. Ognuno di noi conserva negli occhi e nella mente un frammento di questa storia. Nella sua immagine l’Italia si vedeva più bella. Più forte e più giusta. Una donna complessa, consapevole delle sue origini in grado di guardare l’evoluzione di un paese sorto dalla guerra e dalla resistenza al nazifascismo dritto negli occhi. Lavora a rotta di collo Gina Lollobrigida. Dal suo esordio nel mirabile Aquila nera di Riccardo Freda nel 1946, regista con un occhio infallibile per le donne, sino al momento del suo ritiro dal cinema nel 1974, interpreta quasi una sessantina di film. Marchia a fuoco tre decenni cruciali del cinema italiano e mondiale. Lavora con i più importanti registi italiani e sa mettersi con straordinaria intelligenza al servizio di registi fuori dai canoni come Giulio Questi per il quale interpreta il geniale La morte ha fatto l’uovo.
A Locarno giunge giovanissima nel 1949 con Campane a martello di Luigi Zampa. Quell’anno a Locarno c’era anche Vittorio De Sica, per raccogliere un premio per Ladri di biciclette. L’occhio del nostro fotografo dell’epoca la coglie con il marito Milko Skofic e Lianella Carell. Un pezzo di storia del cinema italiano – e del nostro Festival – in uno scatto. Con una scelta in contro tendenza, si ritira all’apice del successo per dedicarsi alla fotografia e alla scultura. L’amicizia con Andy Warhol, le mostre e le personali di grandissimo successo in tutto il mondo. Come restare al centro della propria mitologia reinventandosi instancabilmente. Da protagonista assoluta del cinema mondiale, oggi Gina Lollobrigida ci ricorda un paese – e un cinema – che non esiste più. Se facciamo come lei, però, andare avanti senza nostalgie, magari qualche magia riusciamo anche a farla. Proprio come la sua indimenticabile Fata turchina comenciniana.
Giona A. Nazzaro