Il regista vincitore delle Locarno Shorts Weeks con Excuse Me, Miss, Miss, Miss racconta il passato nella televisione filippina, la passione per la commedia e il percorso nel cinema, segnato dall’esperienza di Open Doors.
Cosa si prova a ricevere un premio da un pubblico globale, che va dall'India agli Stati Uniti?
Innanzitutto sono davvero onorato che mi sia stata offerta una piattaforma per mostrare Excuse Me, Miss, Miss, Miss alle Locarno Shorts Weeks. Il fatto che il film sia stato proiettato gratuitamente attraverso un'interfaccia molto semplice da usare, e reso accessibile a un numero enorme di oltre 11.500 spettatori, è un'opportunità molto rara per chi realizza cortometraggi come me. E sono sinceramente grato per il premio. Il mio timore nel fare delle commedie è che a volte l'umorismo non sia traducibile a livello globale, ma il fatto che il pubblico dall'India agli Stati Uniti abbia apprezzato e votato Excuse Me, Miss, Miss, Miss significa che il film è riuscito a veicolare il suo humour e il suo messaggio a un pubblico universale.
Il ritmo di Excuse Me, Miss, Miss, Miss ricorda una partitura jazz: ci sono infinite variazioni di tono, atmosfera, registro, ognuna delle quali è imprevedibile. Come avete lavorato su questo aspetto?
Non appena abbiamo elaborato la premessa di base della storia, io e lo sceneggiatore Arden Rod Condez abbiamo pensato a un passaggio dalla commedia all'horror dopo che la protagonista Vangie scopre il segreto del suo capo. Perciò, dalla stesura della sceneggiatura alla regia, fino al montaggio e al sound design, ci siamo assicurati di essere in grado di produrre questo cambiamento di tono. Seguire il ritmo del jazz è sempre stata una decisione consapevole anche per il nostro compositore Len Calvo, quando abbiamo finalizzato il montaggio offline, poiché il jazz ha un ritmo molto energico, ma allo stesso tempo può adattarsi a diversi stati d’animo.
In precedenza avevi lavorato alla scrittura di serie televisive. Cosa c'è di diverso nel lavorare su un formato come il cortometraggio? In quale modalità narrativa ti senti più a tuo agio?
Il formato breve è molto impegnativo, perché si hanno solo pochi minuti a disposizione per raccontare una storia e i suoi elementi collaterali, come i personaggi, l'ambiente, il messaggio... Ma per me può essere anche più potente di una serie televisiva o di un lungometraggio, se racconta una storia avvincente e con un messaggio forte. Scrivere per la televisione, poi, nelle Filippine è molto diverso che altrove. Il pubblico in qualche modo detta ciò che vuole vedere e come vuole che la narrazione prosegua, dato che l'industria televisiva nazionale è molto orientata al business, quindi se l'indice di gradimento cala si è costretti a modificare la propria storia. Per questo mi sento più a mio agio a lavorare nel cortometraggio, perché offre molta più libertà di esplorare identità e modi unici di raccontare.
Excuse Me, Miss, Miss, Miss è un film di personaggi femminili, e la scelta non sembra casuale, perché oggi forse è ancora a loro che si richiedono gli standard più impossibili da raggiungere: essere onnipresenti sul lavoro, a casa come madri, in coppia come amanti, come si vede chiaramente in una scena del film. Come hai lavorato a questi personaggi?
È una bella osservazione dire che questo è un film di donne. Sono cresciuto senza una madre, ma ho anche incontrato molte madri e figure femminili ispiratrici nella mia vita. E sono d'accordo, le donne sono ancora sottoposte a standard inarrivabili. Ecco perché per me è così importante non solo raccontare questa storia dal punto di vista di una lavoratrice a contratto, ma anche mostrare un piccolo scorcio di umanità nella sua superiore che si moltiplica. In un certo senso questo mette in luce la critica verso una società che per le donne crea aspettative impossibili.
Il grande magazzino che racconti sembra una perfetta miniatura dell'attuale sistema capitalistico. Ti interessava che il film potesse raccontare il mondo contemporaneo, più che una precisa realtà geografica?
La questione del capitalismo e del trattamento riservato alla classe operaia e ai lavoratori a contratto nelle Filippine è la stessa da decenni. Il grande magazzino è la miniatura perfetta per mostrare come i capitalisti navighino ancora oggi in questo Paese.
Cosa ricordi della tua esperienza a Locarno?
Oltre alla straordinaria esperienza di guardare i film in Piazza Grande, ciò che ho amato di più sono stati l'incontro con i colleghi cineasti del Sud-Est asiatico nell’ambito di Open Doors, l'apprendimento grazie a relatori credibili ed esperti, e soprattutto la presenza di mentori e organizzatori che ci hanno fatto sentire a casa anche se eravamo in una terra straniera. Una delle esperienze più memorabili è stata la sessione in cui i mentori europei hanno cercato di capire quanto sia complicato per chi opera nel Sud-est asiatico fare cinema. È stata un'esperienza illuminante per noi e per loro, ed è stato molto toccante vedere come tutti cercassimo di capirci a vicenda, nonostante i nostri diversi background. Non dimenticherò mai gli amici che ho conosciuto e tutto ciò che ho imparato durante il mio soggiorno lì.
A cosa stai lavorando in questo momento?
Ho appena terminato la post-produzione di un nuovo cortometraggio su una madre che partecipa a un'audizione per un game show filippino. Si tratta di una prova del concept per il mio lungometraggio, Mother Maybe.
I cortometraggi hanno un formato che non trova facilmente una distribuzione nelle sale. Pensi che il web possa essere un'opportunità in questo senso?
Penso che il web sia uno strumento potente per renderli più accessibili a un pubblico più vasto. Il successo delle Locarno Shorts Weeks è la prova che una piattaforma forte può portare un nuovo pubblico a questo tipo di film.