Una domanda classica: cosa faresti se ti rimanessero solo sei mesi di vita? Le risposte classiche: spuntare le caselle della tua lista dei desideri, sistemare le cose con le persone che ti sono care, dedicarti a una causa degna... Ma cosa succede se, come chiede Bob Byington con Lousy Carter, non hai fatto nessuna di queste cose e invece hai continuato a vivere esattamente la stessa vita, facendo esattamente gli stessi errori, senza approfittare del poco tempo che ti rimane sulla Terra?
Questo riassume più o meno il modo in cui il protagonista eponimo del film affronta la questione. Anche se forse non è del tutto giusto. Dopo aver ricevuto una diagnosi terminale da quello che forse è il medico più compassionevole che abbia mai praticato la medicina, si propone di ottenere due cose. In primo luogo, completare finalmente un adattamento animato a lungo accantonato di Una risata nel buio di Vladimir Nabokov (un titolo che potrebbe facilmente appartenere alla commedia di Byington, nera come la pece). Secondo, andare a letto con una delle sue studentesse. Lousy (“schifoso”) non è un soprannome guadagnato con un comportamento scorretto, è il nome che gli è stato dato alla nascita, e forse è questo aspetto della predestinazione a renderlo un personaggio simpatico, nonostante tutto. Inoltre, la totale mancanza di impegno per entrambi gli obiettivi non lascia alcun dubbio sulle sue possibilità di successo. Destino, arroganza... in un certo senso è un eroe tragico.
Non è un caso che la cattedra di Lousy, ottenuta quando era un giovane e promettente cineasta, riguardi esclusivamente l’insegnamento de Il grande Gatsby di F. Scott Fitzgerald, ovvero il trattato paradigmatico del sogno americano (e un libro affrontato più al liceo che all’università). Nel secolo trascorso dalla pubblicazione del romanzo, la celebre ultima battuta di Fitzgerald – «così remiamo avanti, barche controcorrente» – ha perso ogni rilevanza. Se vogliamo applicare la metafora della barca agli americani che popolano la contemporanea Austin di Lousy Carter (anche se potrebbe essere più appropriata con gli Uber che scorrazzano ovunque), allora questi personaggi hanno da tempo tirato i remi in barca, contenti di essere portati ovunque la corrente decida di portarli, anche se è dritto in un vortice. Per quanto riguarda l’ideologia, il meglio che chiunque possa dire è: “Forse le cose andranno meglio”.
Lousy Carter segna il ritorno di Byington in concorso a Locarno dopo Somebody Up There Likes Me, che ha vinto il Premio speciale della giuria nel 2012. Anche in questo caso, fungendo anche da sceneggiatore del film, Byington scrive personaggi e dialoghi che sono perfetti per il suo fantastico cast. Questi sfacciati narcisisti potrebbero dire e fare cose orribili, ma il film non è un esercizio su come puntare il dito. Sostenuto da un sottofondo di compassione che si manifesta come convinzione che tutti possiamo fare di meglio, è una satira esistenzialista incisiva e al contempo umana.
Giovanni Marchini Camia
Curiosità
Unico americano nel Concorso internazionale a Locarno76, nel 2012 Bob Byington ha vinto il Premio speciale della giuria per Somebody Up There Likes Me. Ha scritto la sceneggiatura nei primi mesi del confinamento per il COVID-19.