News  ·  16 | 04 | 2024

Il cinema è un paese senza confini: un omaggio ad Adriano Aprà

Il Direttore artistico del Locarno Film Festival Giona A. Nazzaro e il giornalista e critico Piero Spila rendono omaggio al leggendario storico del cinema, critico e programmatore italiano.

©Locarno Film Festival

Non solo critico cinematografico, non solo storico tra i maggiori del cinema internazionale, Adriano Aprà appartiene al ristrettissimo novero di pensatori che fanno accadere le cose: ha fondato riviste (a 26 anni, Cinema&Film), infrangendo tabù critici  «non per ripetere il già risolto ma per verificare una ricerca di gruppo in via di svolgimento»; ha gestito cineclub (il mitico Filmstudio di Roma), lasciando porte aperte ad ogni contaminazione e avanguardia; ha diretto Festival importanti (il Salso Film & TV dal 1977 al 1989, la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro dal 1990 al 1998); ha organizzato retrospettive memorabili (Kenji Mizoguchi, Howard Hawks, J. L. Mankiewicz per la Mostra del Cinema di Venezia); ha guidato la Cineteca Nazionale dal 1998 al 2002 e insegnato cinema all’università; e infine, ha scritto libri quasi sempre anticonvenzionali. Date e occasioni che non servono però a definirlo. Il cinema per lui era un paese – senza frontiere e senza tempo – che ha abitato con la curiosità del nomade e la meraviglia insaziata dell’esploratore. Ognuno di noi, fra quelli che oggi piangono la sua scomparsa, vanta un momento specifico nel quale Adriano è entrato nella sua vita di cinefilo. Non necessariamente momenti inevitabili, e quindi scontati (Rossellini, Dreyer, il cinema americano …), ma scoperte e riscoperte che lasciavano il segno.

Come dimenticare, tra i tanti, l’inestimabile volumetto Neorealismo d’appendice – Per un dibattito sul cinema popolare: il caso Matarazzo (pubblicato da Guaraldi). Un’opera che ha permesso a tantissimi di entrare nel mondo di un regista sino allora bistrattato, a dir poco, dalla critica “ufficiale”. E con Matarazzo, l’attenzione costante per un cinema lasciato in ombra o male interpretato, meglio se linguisticamente ed esteticamente “fuori norma”, da individuare in ogni parte del mondo: i primissimi contatti con il cinema iraniano, l’incontro con la resistenza cinematografica palestinese, il New American Cinema di Jonas Mekas e l’opera infinita di Stan Brakhage, i Newsreel di Robert Kramer e la Factory di Andy Warhol (Il cinema di Andy Warhol, da lui scritto con Enzo Ungari, Arcana Editrice).

Cifra distintiva del suo pensiero critico era stanare il moderno, ovvero il cinema capace del passo in avanti, l’azzardo e mai l’impasse. Da ricordare la sua passione per Philippe Garrel, in particolare una straordinaria proiezione di Elle a passé tant d'heures sous les sunlights, e poi per Jim Jarmush o Chantal Akerman, oppure la sua fertilissima capacità di dialogare con personalità del calibro di Serge Daney o di interagire da fratello maggiore con critici  più giovani di lui, anomali e geniali, come Enzo Ungari e Marco Melani.

Rosselliniano capace di fare le pulci ai rosselliniani, complice di Bernardo Bertolucci (appare nell’episodio Agonia del film collettivo Amore e rabbia al fianco di Julian Beck e Judith Malina e del collega Giulio Cesare Castello), profondo estimatore del cinema di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet (è il protagonista, con la sua fisionomia ascetica e la perfetta pronuncia francese, di Les yeux ne veulent pas en tout temps se fermer ou peut-être qu'un jour Rome se permettra de choisir à son tour/Othon), vicino al nuovo cinema italiano che nasceva intorno al ’68, collabora tra gli altri anche con Mario Schifano (in Satellite è lo speaker televisivo che annuncia la morte di Dreyer, in Umano non umano invita a intonare «canzoni ingiuriose e sussurrare profezie sinistre»).

Adriano Aprà – per utilizzare un’immagine di Serge Daney – è un passeur. Qualcuno che letteralmente è passato attraverso il cinema del secolo scorso, ma con il volto costantemente rivolto in avanti. Lo ha confermato lui stesso, scrivendo forse il suo ultimo testo (datato 12 febbraio 2024 e pubblicato su Nazione Indiana). È un testo cupo, in cui si fa cenno alle catastrofi ormai irreversibili del pianeta e in cui ci si illumina solo quando si parla di cinema del futuro, cinema espanso, quantistico, extraterrestre, capace di «condurci per mano verso lidi inesplorati». È il cinema dell’indicibile e/o dell’inosabile, quello che da sempre i cinéphiles non si stancano di frequentare e blandire, uniti da una passione onnivora ma non cieca, spettatori privilegiati che non si accontentano più di chiedere con Bazin «qu’est-ce que le cinéma?», ma che invece fuggono in avanti, trascinanti e irresistibili, a immaginare il cinema che sarà. Come i ragazzini degli ultimi fotogrammi di Roma città aperta, come Jean-Pierre Léaud dodicenne che corre verso il mare nel finale de I 400 colpi. Adriano è qui.

 

Piero Spila
Giona A. Nazzaro –
Direttore Artistico