Nell'agosto del 2017 abbiamo avuto la fortuna di vedere David Lynch sul grande schermo di Piazza Grande, come personaggio-cameo in “Lucky”, meraviglioso film vincitore del Premio Ecumenico della 70ª edizione del Festival. Qui, nel fotogramma, Lynch è accanto a Harry Dean Stanton, protagonista del film e amico fraterno del regista di Missoula (Stanton è venuto a mancare nel settembre dello stesso anno).
«Difficile quantificare il vuoto che ha lasciato David Lynch nel cinema contemporaneo. E difficile anche limitarsi solo a elencare tutto ciò che non sarà più uguale a prima dopo di lui. David Lynch è stato un cineasta visionario, essenziale, audace. In grado di sfidare le convenzioni dell'esistente e che nel farlo ci ha permesso di gettare uno sguardo oltre la soglia, dietro la porta. Le sue visioni, dolci, inquietanti, terrificanti, non erano mai prive del suo affettuoso umorismo zen, frutto di decenni di meditazione e distacco dalle pressioni e frette del cinema hollywoodiano. David Lynch abitava un mondo suo, del quale ci aveva offerto le chiavi. Potevamo entrare nel suo ogni qual volta ne sentivamo il bisogno o il desiderio. Non aveva posto regole. Desiderava solo che guardassimo con i nostri occhi. Che pensassimo con tutto il nostro essere. In fondo, per omaggiare uno dei titoli più belli e liberi, era “una storia semplice” quella di David Lynch. Una pedagogia della libertà che usava le qualità maieutiche del sogno per riscrivere le possibilità del mondo. L'inconscio come forza plasmante del nostro reale. E il cinema come elemento conduttore versi magnifici e dolcissimi stati di allucinazione. In fondo, e probabilmente questa è la (non)lezione più bella del suo cinema, per trovarsi bisogna perdersi. Magari in un film di David Lynch. E in Paradiso va tutto bene.»
— Giona A. Nazzaro, direttore artistico del Locarno Film Festival