News  ·  08 | 03 | 2024

In ricordo di David Bordwell (1947-2024)

©Criterion Collection

Non sarebbe certo un’iperbole affermare che David Bordwell rappresenta uno spartiacque nella storia degli studi cinematografici, un solco profondo tracciato nella sabbia. Grazie alla sua erudizione e al suo rigore, possiamo senz’altro dire che nei film studies c’è un prima e un dopo Bordwell. È venuto a mancare il 29 febbraio scorso dopo una lunga malattia, come ricorda in un commosso messaggio di addio la sua collaboratrice e compagna di una vita Kristen Thompson.

Il compito di un festival cinematografico come il Locarno Film Festival è quello di guardare avanti, di immaginare i più vari futuri possibili del cinema e al tempo stesso di ripensarne il canone, sia mettendo in scena complesse retrospettive, sia dando il proprio sostegno al restauro di pellicole significative. E tuttavia, verrebbe meno al suo compito se non riconoscesse l’incommensurabile contributo di una figura come David Bordwell, la cui opera ha segnato la via per percorrere i diversi continenti del cinema. Approcciava i film, in gran parte con uno sguardo retrospettivo, come una scienza pratica, come un’arte popolare degna di essere dissezionata e analizzata in una maniera accessibile; la sua prosa effervescente e al contempo scrupolosa lo rendeva amato tanto dagli studenti quanto dai cinefili di lunga data.

Ora che ci ha lasciato, è finalmente possibile misurare l’inestimabile risorsa che la sua opera scritta ha rappresentato, che si tratti di “Observation on Film Art” – il suo blog, gestito con Kristin Thompson a partire dal suo ritiro dalla vita accademica nel 2004 – o dei suoi libri sul cinema di Hong Kong, sui critici degli anni Quaranta, sulla messinscena cinematografica classica, su Yasujirō Ozu, Carl Dreyer, o ancora sulla settima arte in generale.

Nonostante una fama smisurata, David Bordwell era anche conosciuto per la sua gentilezza e generosità. Non era raro incontrarlo al Cinema Ritrovato di Bologna, che frequentava regolarmente, davanti ai numerosi cinema che proiettavano le rarità sottratte agli archivi. Fu così che, da giovane cinefilo, ebbi la fortuna di conoscerlo un giorno: avevo corso per raggiungere il cinema in tempo per la proiezione e gli chiesi – senza averlo riconosciuto – di tenermi il posto (e il cartone della pizza) mentre mi precipitavo fuori a prendere dell’acqua.

Quando tornai, cominciammo a parlare e mi resi conto di chi mi stava tenendo il posto davanti a una fiumana di persone che continuava a chiedergli se fosse libero. Eppure, non esitò a rivolgermi alcune parole che mi lusingarono: “Sai, le prime commedie di Hou Hsiao-Hsien erano… ah, ma che sto dicendo! Ne sai certo più tu di me di tutti questi film. Che altro potrei aggiungere?”. Per un giovane cinefilo come me, quel gesto significò moltissimo.

 

Christopher Small
Editorial Manager e Responsabile della Critics Academy

David Bordwell nei ricordi del Prof. Kevin B. Lee

Ho conosciuto per la prima volta David Bordwell a un convegno dedicato ai video essay. Ne stava producendo alcuni per Criterion mentre io mi arrabattavo ancora con il mio canale YouTube; eppure, sosteneva che il suo lavoro era una sciocchezza se comparato con quanto stava facendo la mia generazione. Questa affermazione era particolarmente modesta, considerato che Bordwell aveva gettato le basi accademiche per l’utilizzo di immagini per studiare altre immagini. La sua insistenza nel fornire prove visive empiriche giunse al punto di riprodurre fotogrammi dalle pellicole cinematografiche per i suoi libri di testo. Ciò che ora può sembrare semplice come prendere uno screenshot, consisteva allora in un processo incredibilmente laborioso che lui e Kristin Thompson inaugurarono 50 anni fa.

Fu anche uno dei primi a utilizzare il cinema come un insieme di dati, contando la durata delle inquadrature per misurarne l’impatto sullo spettatore. Utilizzai lo stesso approccio per calcolare quanto a lungo le attrici e gli attori protagonisti hollywoodiani apparivano nei film. Scoprii così l’esistenza di un gender gap nella loro presenza sullo schermo, di cui resi conto sul New York Times. Naturalmente, David contribuì con un’intuizione fondamentale al mio articolo: sosteneva che i protagonisti maschili appaiono più a lungo nei film perché il loro arco narrativo si fonda maggiormente sul “viaggio dell’eroe”, mentre le figure di primo piano femminili tendono a essere inserite in narrazioni sociali che implicano una rete di molteplici personaggi. Si trattava di un campo di ricerca totalmente nuovo che sembrava lontano anni luce dalle teorizzazioni continentali e dalla fissazione sulla “poetica” che hanno a lungo dominato la disciplina. Un metodo di analisi del cinema fondato sullo studio delle sue immagini: chi avrebbe mai detto che un approccio di tale buon senso potesse essere così innovativo?

Le attuali forme di critica cinematografica praticate attraverso screenshot, video essay e analisi visuali dipendono più che mai dall’attenzione alle immagini. In questo senso devono moltissimo a David Bordwell, nel loro fondarsi su una massima che può essere racchiusa in otto semplici parole che ne descrivono la filosofia: lascia che ti mostri ciò che sto vedendo.

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Come tutti grandi cineasti, David Bordwell ha creato con il pensiero nuovi campi del vedere e dunque dell’immaginare. Come un poeta ha dato corpo a nuove possibilità ampliando gli orizzonti di libertà. In lui, teoria e storiografia s’intrecciavano in forme sempre sorprendenti, come in un gioco generoso e ricco di sorprese. Ma la sua generosità non escludeva la disciplina e quest'ultima non escludeva mai il piacere. David Bordwell è stato un compagno di viaggio prezioso il cui lavoro ci accompagnerà ancora per molto tempo.