Di Christina Newland
Nel 1924 un combattivo uomo d'affari cresciuto in un quartiere popolare di New York co-fonda uno studio cinematografico. Quello studio diventa la Columbia Pictures, e quell'uomo il suo storico magnate, Harry Cohn. Partito con poco e sempre attento al budget, lo studio si rivela in grado di produrre film intraprendenti e di grande successo, prendendo spesso in prestito talenti ad altri studi, da Cary Grant a Carol Lombard. Quei film sarebbero diventati emblematici per i rispettivi generi cinematografici – come L'orribile verità (The Awful Truth, 1937), ad esempio, o Ventesimo secolo (Twentieth Century, 1934).
Il curatore Ehsan Khoshbakht ha scavato a fondo negli archivi della Columbia per curare “The Lady with the Torch - Il centenario della Columbia Pictures”, una retrospettiva di 40 film che sarà presentata a Locarno77. Ripercorrendo l'epoca d'oro dello studio e andando oltre i titoli classici – da Accadde una notte (It Happened One Night, 1934) a Gilda (1946) –, Khoshbakht ha riscoperto il lavoro di registi di serie B meno conosciuti e si è imbattuto in sottogeneri insoliti, come ad esempio film degli anni Quaranta incentrati su storie di ragazze delinquenti.
Abbiamo incontrato Khoshbakht per parlare della logica sottesa alla sua selezione, di quali siano le sue perle nascoste preferite e di come guardare troppi cortometraggi del trio comico statunitense i Tre Marmittoni lo abbia quasi portato alla follia.
Raccontami un po' del concetto iniziale dietro alla retrospettiva.
L'idea iniziale era un po' più radicale: celebrare il centenario della Columbia attraverso produzioni di serie B e film dimenticati. Niente Frank Capra, niente screwball comedy di Howard Hawks. Fortunatamente ho piano piano recuperato il senno. La versione attuale del programma riflette un po’ di più la produzione dello studio stesso, composta da un quarto di classici canonici, un quarto di film meno noti girati da maestri del cinema – verrà anche proiettata una versione restaurata di Duello all'ultimo sangue (Gun Fury, 1953) di Raoul Walsh –, un quarto di film mai visti – Under Age (1941) di Edward Dmytryk – e un quarto di film riguardanti le donne davanti e dietro la macchina da presa – La moglie di Craig’s Wife (Craig’s Wife, 1936) di Dorothy Arzner. Quindi sì: ci saranno anche Capra e Hawks. Sarebbe assurdo fare qualsiasi retrospettiva su qualsiasi tema senza mostrare un film di Hawks.
La Columbia era ben nota per le screwball comedy, e poi nel secondo Dopoguerra per i film noir di serie B, ma in realtà lo studio ha realizzato film di ogni tipo. Come hai affrontato la selezione tenendo conto del tipo di film che il pubblico si aspetta ma anche cercando di andare oltre questi parametri?
Ho cercato di evitare di pensare nei termini dei generi prodotti dallo studio, ma piuttosto di seguire le traiettorie dei singoli registi. Mi sono detto: vediamo un po’ dove ha iniziato Lew Landers nel 1941 e cosa ha fatto prima di chiudere definitivamente con la Columbia nel 1953. Nel mezzo, ci sono 54 film tra cui trovare il fil rouge del progetto artistico di quell'uomo. Devo confessarti che ero un po’ restio a soffermarmi troppo sul noir della Columbia, che forse oggi è il genere più famoso e ampiamente diffuso prodotto dallo studio nel dopoguerra. Volevo concentrarmi su film inediti e meno ovvi.
Nella tua ricerca, quanti film hai rintracciato e visto? Quali pattern hai notato?
Ho iniziato stampando il calendario delle uscite della Columbia dal 1929 al 1959, guardando i film e demarcandoli come se potessero portare a un codice segreto per scoprire un universo parallelo. L'idea era di a) guardare almeno un’uscita per ogni mese; e b) identificare tendenze, serie ed elementi ciclici per poi scegliere i titoli più rappresentativi di quel gruppo di film. Penso di aver visto quasi la metà dei lungometraggi della Columbia di quel periodo, escludendo i film stranieri – poiché distribuivano anche opere come I sette samurai (Shichinin no Samurai, 1954). E poi ci vorrebbe un'altra vita intera per vedere ogni cortometraggio de I tre marmittoni, senza parlare del rischio di rimetterci la propria salute mentale.
Ma anche ora che ho completamente terminato il programma non riesco a smettere di guardare i film della Columbia; ho bisogno di essere ricoverato in un centro di riabilitazione. Il loro stile semplice e senza pretese ha un qualcosa di irresistibile per me. Ora, quando i personaggi aprono bocca, posso approssimativamente indovinare il dialogo. Quindi, in un certo senso, esiste davvero un universo parallelo della Columbia Pictures e ora ci vivo dentro.
Per quanto riguarda i pattern, posso dirti che in realtà ciò che mi ha colpito di più è stato il periodo in cui non c'erano schemi ripetitivi, come alla fine degli anni Cinquanta quando nello studio regnava una gran confusione. Guardando quei film, ti chiedi "Cosa sta succedendo?" e percepisci che lo studio stava cercando di aggrapparsi a qualsiasi cosa prima della sua inevitabile caduta libera dovuta alle trasformazioni economiche dell’industria di Hollywood.
La cosa più importante che ho imparato è che in fin dei conti era lo stile del regista stesso – brillante o mediocre, originale o imitativo – a spiccare nelle produzioni della Columbia.
Spesso la storia della Columbia è stata raccontata attraverso la figura di Harry Cohn e la sua personalità. Hai voluto focalizzarti su altri elementi in questa retrospettiva?
Quella di Cohn è una figura affascinante. Le sue istruzioni, i suoi appunti, il suo coinvolgimento – spesso espressi in un linguaggio molto volgare – hanno plasmato molte iniziative dello studio. Alcuni dei progetti indipendenti della Columbia sono diventati di enorme successo, ma Cohn li odiava perché non vi aveva avuto voce in capitolo. Amava il controllo.
Ciò detto, la Columbia era comunque più libera rispetto alla MGM o alla Twentieth Century-Fox. C'era una notevole flessibilità e un certo senso di fiducia. E penso che Cohn si fidasse degli artisti più di quanto facessero Zanuck o Selznick. La cosa più importante che ho imparato è che in fin dei conti era lo stile del regista stesso – brillante o mediocre, originale o imitativo – a spiccare nelle produzioni della Columbia (cosa che dovrebbe aver fatto molto piacere agli autori).
Quali sono secondo te gli aspetti più fraintesi della storia dello studio?
In primis, ogni volta che qualcuno si riferisce al sistema stesso come qualcosa di geniale. Come ti ho spiegato, erano i registi ad avere l’ultima parola alla Columbia Pictures, quindi non ha senso lodare solamente lo studio. La Columbia forniva le condizioni ottimali per il loro lavoro, oltre che tecnici impeccabili e scenari improbabili. Farne poi qualcosa dipendeva dalle persone – talentuose o mediocri che fossero. Ma, esaminando la Columbia più da vicino, è chiaro che questo studio fosse completamente diverso dagli altri: la linea di demarcazione tra film di serie A e di serie B era più sottile, i generi più eterogenei, l’utilizzo di talenti esterni e produzioni indipendenti più cospicuo. Facevano di tutto pur di rimanere nel budget. Il budget era l'undicesimo comandamento di Cohn.
Quanto ha inciso la possibilità di accedere ai film sulla tua selezione finale?
Non ho mai sperimentato altrettanta libertà e facilità di accesso nei miei anni da programmatore cinematografico. Sony Pictures Entertainment è oggi proprietaria della Columbia, e il suo personale dedicato all’archivio è tra i più stimati al mondo. Grover Crisp e Rita Belda mi hanno aiutato enormemente.
È chiaro che questo studio fosse completamente diverso dagli altri: la linea di demarcazione tra film di serie A e di serie B era più sottile, i generi più eterogenei, l’utilizzo di talenti esterni e produzioni indipendenti più cospicuo.
Parlami dei ruoli delle donne nei film che hai scelto. Cosa c'ė di unico nelle rappresentazioni che hai deciso di selezionare?
Rispetto agli altri grandi studi, la Columbia era quello giusto per le donne. Non solo le donne erano rappresentate meglio nelle storie e nei personaggi, ma anche nel personale che poi realizzava i film stessi. C'erano più donne nelle equipe creative e nelle troupe cinematrografiche rispetto che in quelle degli altri studi. A un certo punto, la Columbia era l'unico studio ad avere una produttrice esecutiva donna, Virginia Van Upp, che era anche una scrittrice eccezionale. E lavoravano inoltre con molte altre scrittrici bravissime, come Gertrude Purcell, Mary C. McCall Jr. e Fanya Foss. Al di là di tutto ciò, la Columbia aveva una sorta di ossessione per i film al femminile. Al di là di tutto ciò, la Columbia aveva anche una sorta di ossessione per i film al femminile: qualsiasi tipo di film (o quasi) realizzato da altri studi con uomini nei ruoli principali, veniva replicato in una versione tutta al femminile. Se la Warner faceva Selvaggi ragazzi di strada (Wild Boys of the Road, 1933), la Columbia rispondeva con Ragazze di strada (Girls of the Road, 1940), di Nick Grinde, che racconta la storia di un gruppo di ragazze vagabonde decisamente toste. Il ribaltamento dei ruoli di genere si estendeva anche a film ambientati in prigione e persino a film di guerra e sui gangster.
C'è qualcosa di cui non abbiamo parlato e che vorresti segnalare come raccomandazione?
Durante il Festival troverete in vendita un libro (pubblicato in inglese da Les éditions de l’œil): contiene quasi venti nuovi saggi e molte immagini rare tratte dagli archivi della Sony/Columbia e della Cinémathèque suisse, entrambi partner della Retrospettiva di Locarno. Nel libro, tra le tante cose, ci sono anche analisi inedite su alcuni dei registi più sottovalutati che hanno lavorato per la Columbia, tra cui Roy William Neill, Nick Grinde, Alexander Hall e Charles Vidor.