Gli anni settanta sono quel decennio che almeno al cinema è durato qualche anno di più. Alcuni sostengono, e non hanno tutti i torti, almeno sino al 1985. La fine degli anni settanta, soprattutto, con i vari colpi di coda incrociati fra gli studi che riconquistavano gli spazi che gli autori avevano strappato a Hollywood, e i registi che ancora riuscivano a conquistare spazi di autonomia e libertà, è ricordato dai cinefili con un brivido di giustificabile nostalgia. Un momento nel quale si intuivano barlumi di futuro (l’introduzione della steadycam, nuove tecnologie di effetti speciali) mentre il sogno della libertà portata sulle ali della Nuova Hollywood galleggiava ancora nell’aria. Tutto cambia nel 1984. Con un film assurto ormai all’Olimpo del culto.
Questo film è The Terminator, e avrebbe permesso al culturista austriaco Arnold Schwarzenegger di abbandonare per sempre il perizoma da barbaro e diventare simbolo di quella frontiera fra organico e meccanico e così prototipo e simbolo dell’action man postmoderno. Raccontata così, sempre la solita storia di maschi intraprendenti che si conclude con il successo. Questa storia particolare che riguarda un atleta austriaco, un camionista canadese di nome James Cameron che si era fatto notare alla corte di Roger Corman e si era fatto licenziare almeno un paio di volte da Ovidio Assonitis sul set di un sequel non ufficial di Piraña di Joe Dante per la sua puntigliosità (“Se davo retta a Cameron stavo ancora facendo Piraña paura”, chiosò il produttore) è anche la storia di Gale Anne Hurd che intuisce che qualcosa stava cambiando e crea tutte le premesse affinché accada. The Terminator è il film che fa finire gli anni Settanta e ci conduce dritto negli anni Novanta, quando Cameron diventa il regista più importante di Hollywood. Ma affinché ciò accadesse c’è stato bisogno di uno sguardo e di una donna. Ed entrambi si chiamano Gale Anne Hurd.
Giona A. Nazzaro