Lo slot domenicale di Pardi di Domani porterà gli spettatori a riflettere sul concetto di identità e, ancora di più, su quello di identità percepita.
Come ci vediamo? Come ci vedono gli altri? Che immagine di noi comunichiamo sui social media? E il cinema stesso come rappresenta l’umano? E il suo opposto? E una delle sue tante coniugazioni?
Risposte che questi quattro film tentano di dare in poco meno di ottanta minuti attraverso approcci artistici, estetici e narrativi assai diversi fra loro.
Sono pochi, pochissimi, i registi che possono annoverare due nuovi film presentati allo stesso festival nel medesimo anno. Bertrand Mandico è tra questi.
Dopo After Blue (Paradis sale), suo secondo lungometraggio presentato nel Concorso internazionale, è la volta di Dead Flash in Pardi di Domani concorso Corti d’Autore.
Questo nuovo cortometraggio ripropone molte delle tematiche care al regista francese: il corpo, il sesso, la violenza, i desideri feticistici.
L’estetica fantasmagorica che caratterizza Dead Flash prende vita attraverso interessanti e sempre diverse trovate visive – molte delle quali risultano omaggi alquanto evidenti, non solo per il pubblico più cinefilo, al cinema di genere – e grazie a una colonna sonora che definire sorprendente appare del tutto riduttivo.
Mandico realizza una vera e propria dichiarazione d’amore per il cinema, una pellicola che a sua volta si fa già oggetto di culto per gli spettatori, i quali non possono far altro che innamorarsene follemente.
Il secondo documentario presentato nel concorso svizzero di Pardi di Domani è Dihya di Lucia Martinez Garcia.
Lo sguardo raffinato della regista si posa su una giovane donna trans che confessa a un’amica le sue esperienze e i suoi segreti.
Il film è una riflessione sull’identità della protagonista e sulla sua quotidianità inerente alla sfera dei social network. Un mondo che è lei stessa a svelare agli spettatori e che non sempre appare piacevole o confortevole.
Il racconto di conversazioni su applicazioni di dating online e di incontri con spasimanti rivela infatti sottostanti e violente tensioni di attrazione e repulsione verso di lei e la sua identità di genere.
Grazie al punto di vista quasi sempre strettissimo, la vicinanza tra Martinez Garcia e il suo soggetto mostra un’intimità sorprendente.
L’estetica sperimentale e glamour del documentario ha inoltre la capacità di far apparire la sua protagonista come una figura mitologica dell’oggi, una ninfa dell’etereo mondo disumanizzato di Internet.
Mask di Nava Rezvani è uno di quei film che affrontano questioni molto più complesse di quello che a una prima visione possa sembrare.
Il genere della pellicola è senza dubbio quello narrativo, di fattura assai classica, sviluppato secondo canoni di racconto e visivi ben consolidati nel tempo, in particolar modo dalla cinematografia iraniana.
Per soddisfare un desiderio del fidanzato, una giovane donna si sottopone a un intervento di bellezza. Quando scopre che l’uomo che avrebbe voluto compiacere non è soddisfatto dall’esito, la ragazza si trova a riflettere su di sé e sulla sua indipendenza.
Rezvani, coadiuvata anche dall’intensa performance dell’attrice Katayoun Saleki, ha trovato una modalità di racconto del tutto lontana dal convenzionale per affrontare e descrivere la tematica della liberazione femminile nella società iraniana.
La maschera si fa dunque sineddoche, la sfera personale diviene universale, e i simboli, così traslati, assumono indubbiamente un significato politico.
The Sunset Special di Nicolas Gebbe è un film speciale, non solo nel titolo.
Animazione sperimentale connotata da un notevole umorismo sottostante, la pellicola del regista tedesco fa della ripetizione asfissiante, sonora e visiva, il suo stilema principale.
Presentato come un videogame degli anni novanta, lo spettatore assume il punto di vista di una coppia di vacanzieri in visita a un luogo da sogno.
Le immagini – che mischiano grafica 3d e found footage da YouTube ed Instagram – sono sporche, piene di glitch e del tutto irreali e fasulle, così come i social network e la vita favolosa che il film mette al centro della sua critica sociale.
Un film che non è solo una parodia dei vacanzieri, ma, soprattutto, una riflessione sull’esistenza e sulle nostre identità percepite, realizzata attraverso l’utilizzo di immagini sintetiche, destrutturate e parcellizzate e che trova la sua catarsi quando il mondo si fa pulito e realistico, immerso in una musica trascendentale. Lo specchio è stato rotto.
Enrico Vannucci
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