Tenetevi stretti: il settimo programma dei Pardi di domani 2021 ha il passo rassicurante di un ottovolante lanciato senza guida su binari impazziti. Cinque storie di violenza, reale o metaforica, con o senza sangue: sociale, privata, sentimentale, culturale o politica. Una violenza che nasce da dinamiche frustrate di appartenenza ad un gruppo sociale, ad una comunità spirituale o ad una cultura che ci sfugge sempre più ambigua; che nasce da dinamiche di genere traviate, da società ancora troppo maschili e patriarcali, da autoritarismi invisibili che ci modellano sottopelle. Cinque storie, cinque voci di cinema agli antipodi, cinque grida potenti e necessarie.
Rok Biček è fra i nomi più interessanti del giovane cinema dell’est europeo. Dopo l’esplosivo debutto nel lungometraggio con Class Enemy, che infiammò la Settimana della Critica di Venezia nel 2013, e dopo la vittoria alla Settimana della Critica di Locarno con The Family (2017), il regista sloveno torna al formato breve e presenta Penalty Shot nel concorso Corti d’autore. Due bambini che giocano a pallone, un gruppo di ragazzi più grandi che interrompe il gioco, la spirale degli eventi che sfugge completamente di mano. Un film che cesella dinamiche e psicologie come una lama affilata, che monta una tensione quasi insostenibile, una progressione drammatica che toglie il fiato. Un commento acuminato e doloroso sulla tossicità di un sistema brutalmente maschile, sulla violenza che siamo disposti ad accettare per appartenere al branco. E quella violenza, ancora più subdola e lacerante, che diventa esclusione e sofferenza quando decidiamo di non conformarci, di resistere e di reagire.
Una vera sorpresa in arrivo dal Ruanda: Imuhira di Myriam U. Birara. Una giovane donna torna al villaggio natale in fuga da un matrimonio violento. Qui cerca rifugio e supporto, ma ad aspettarla troverà solo l’ostilità della famiglia e il peso di norme sociali che decretano, dall’alto di una tradizione oppressiva, come una vera donna debba essere e comportarsi. Un film sulla condizione femminile, sulla posizione e il futuro delle donne, sulle ineguaglianze di genere in seno alle società patriarcali. Ma oltre l’importanza dei suoi temi, anche un film che rivela lo sguardo potente di una regista perfettamente padrona del suo gioco, che sfodera idee visive e colpi emotivi in quantità. Si affaccia sul palcoscenico internazionale una nuova voce di cui sentiremo parlare: qui è il cinema africano del futuro.
Un giovanissimo talento dal Kosovo, Leart Rama, ci trascina nel ventre buio e tumultuoso di un rave party con Four Pills at Night. Cosa succede a queste feste? La gente balla, entra contatto, si esprime e si lascia andare, rivelando che c’è molto di più oltre le turbolenze del ritmo sincopato. A tutto volume, musica techno e luci stroboscopiche: due ragazzi, una storia d’amore, una notte in cui tutto non può che andare storto. Delusioni e verità, paura, confusione e lacrime: una detonazione di energia tanto vitale quanto disturbante. Un film dalla penisola balcanica come non l’abbiamo mai visto prima, un sogno-incubo allucinato e danzante che documenta la realtà dei giovani kosovari (e l’omofobia strisciante nella regione) con onestà e vigore disarmanti.
Dalla Cina, uno scontro intergenerazionale fra padre e figlio, una storia di incomprensione culturale e una straordinaria lezione di messa in scena: è Christmas di Zhang Fengrui. La vita umile in un villaggio di pescatori e il giovane Dongdong, fan del NBA che sogna l’America, chiede in regalo un paio di sneakers nuove. Ma il padre rifiuta, resistendo all’idea di consegnarsi ai costumi dell’Occidente. Il ragazzo decide così di scomparire. E mentre la tradizione aliena del Natale ha già invaso il villaggio, l’uomo cercherà il figlio per le strade, perdendosi a sua volta in una giungla di segni già troppo occidentali per non dichiarare la sconfitta. Un incedere maestoso fra immagini di grande impatto e una figura paterna magnificamente tratteggiata che ci spezza quietamente il cuore.
Il programma si chiude con un gioiello caustico e graffiante made in Singapore: Strawberry Cheesecake di Siyou Tan. Dal produttore del Pardo d’oro A Land Imagined, la storia di tre studentesse ribelli, colte a fumare una sigaretta elettronica (illegale nel paese), che decidono di vendicarsi della preside. Un film diabolicamente divertente, formalmente inventivo, audace nell’utilizzare il genere per sferrare un attacco frontale al sistema nazionalista di Singapore. Oltre la facciata di città-stato modello, la regista allude ad un regime scolastico che mira a formare ragazze dolci ‘come torte alla fragola’, ben educate, future mogli e madri. Ma le nostre cattive ragazze ci provocano con un gioco sinistro e deviato: diventare mostri prima che ce lo chiedono gli altri, flirtare con la morte prima che questa ci venga imposta dal sistema.
Eddie Bertozzi
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