L’ottavo programma dei Pardi di domani 2021 parte da un Maestro del cinema europeo, per poi aprirsi a ventaglio su quattro elettrizzanti ipotesi di cinema: un musical, un documentario personalissimo, una finzione storiografica, un melodramma raggelato.
Ciò che unisce opere così diverse è un’urgenza di risposte in una selva di domande, un movimento binario fra il perdere e il cercare. Perdite reali, tangibili, e perdite ideali, metaforiche, a cui fa da contraltare una ricerca inesausta. La ricerca di un senso per confrontarci con i macigni di una realtà che, attraverso le armi del cinema, possiamo affrontare senza più paura.
Nel Concorso Corti d’autore, Marco Bellocchio, un gigante della settimana arte.
Da I pugni in tasca (1965) a Marx può aspettare (2021), la sua opera ha cambiato per sempre il volto del cinema italiano (e non solo di quello italiano). Ricevendo la Palma d’onore all’ultimo Festival di Cannes, il regista piacentino ha dichiarato che per fare cinema servono solo due cose: l’immaginazione e il coraggio.
Ed è proprio quello che Bellocchio continua a dimostrare in Se posso permettermi, corto realizzato nell’ambito del workshop che il Maestro tiene annualmente, per formare i giovani cineasti di domani (questo coltivare il futuro del cinema non potrebbe essere più in linea con la missione dei Pardi di domani).
Nel film troviamo un uomo, un’assolata cittadina di provincia, l’ossessione di poter interferire nelle vite degli altri. Una galleria di personaggi, spesso femminili, a cui l’uomo rivela vizi e limiti nascosti nel loro animo. È il suo quieto grido di rabbia: non è più il tempo della rivoluzione, rimangono solo la fantasia e le piccole osservazioni marginali.
Dal Brasile piagato da una leadership politica scellerata che acuisce crisi economiche e sociali già in atto da lungo tempo, ecco l’incredibile film di Leonardo Martinelli, Fantasma Neon.
L’odissea di un rider che sogna di acquistare una motocicletta per poter effettuare più velocemente le sue consegne – cibo da asporto per le élite bianche nei quartieri alti delle grandi città – prende le forme e le movenze di un musical urbano sbalorditivo.
Le voci marginalizzate degli ultimi anelli della catena alimentare salgono finalmente sul palcoscenico e si fanno canto, danza e protesta. Una bomba di energia e un vero esempio di cinema politico: bruciante, sorprendente, schietto. Cinema dinamitardo: una vera rivelazione.
Fra le opere più toccanti dell’intera selezione, And Then They Burn the Sea di Majid Al-Remaihi. Un gioiello di sensibilità la cui forza evocativa ci lascia completamente disarmati. Un’elegia a cuore aperto, l’esplorazione di una perdita: quella della memoria della madre del regista, svanita a causa di una malattia.
Fondendo documentario performativo e archivi famigliari, Al-Remaihi colpisce per la forza di una voce poetica suggestiva e potente, un’arma di coraggiosa vulnerabilità con la quale osa spingersi oltre il dolore del reale. Un’opera tanto privata quanto ambiziosa: in filigrana, l’ologramma di un paese, il Qatar, che ha forse perso le tracce del suo recente passato troppo in fretta. Un film come un rituale magico e arcaico attraverso il quale ricercare ciò che è andato perso.
Luka Popadić, di radici svizzere e serbe, presenta Real News, con cui torna alle sue origini balcaniche per affrontare un nodo storico che non cessa di rivelare la sua importanza fondamentale. Belgrado, 1999: la NATO bombarda la città. James, giovane giornalista al suo primo incarico, assiste allibito all’assurda fucina in cui le notizie vengono prodotte, confezionate, trasmesse.
Popadić dirige con sguardo preciso e maturo una sceneggiatura perfettamente congegnata, che si fa critica pungente dei media, dell’etica dell’oggettività nell’epoca dell’informazione e delle fake news. Adottando una prospettiva umanista, il film riflette sulle insidie e la fragilità della missione storiografica: la creazione e la trasmissione della Storia è nelle mani insicure dell’ideologia e della propaganda.
Il programma si chiude con una folata di vento che scuote le cime degli alberi, come un turbamento leggero, forse una speranza, un momento di respiro dopo la perdita: è Yi yi (Time Flows in Strange Ways on Sundays) di Giselle Lin. Una madre intrappolata nel suo lutto viene invitata al matrimonio della fidanzata del figlio prematuramente scomparso. Un film di perfezione formale abbagliante, un cinema in discendenza diretta dai grandi del cinema asiatico, Hou Hsiao-hsien e Edward Yang filtrati attraverso la cura e la sensibilità di uno sguardo squisitamente femminile. Un’esplorazione del lutto, del tempo che passa e non guarisce, un saggio sull’impermanenza del tutto e la transitorietà della vita. Una giovane regista di cui sentiremo parlare.
Eddie Bertozzi
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